Quattro anni fa ho scritto un post che si intitola “come chi gestisce la tecnologia in azienda”, nel quale affrontavo il tema della governance tecnologica, della gestione dei budget e del rapporto tra il mondo It e il resto della organizzazione.

Come mi sta capitando sempre più spesso oggi riprendo questo contenuto perché lo trovo molto attuale, pur con qualche aggiornamento da fare visto ciò che è successo negli ultimi mesi.

DALLO SHADOW IT ALLA BUSINESS TECHNOLOGY (PASSANDO PER IL MARKETING TECHNOLOGIST)

In principio e già da anni era emerso il concetto dello shadow IT, ossia di tutte quelle tecnologie che non fanno parte della ownership dell’Information Technology aziendale e che sono gestire altri dipartimenti in modo tendenzialmente “clandestino”, per rendersi indipendenti anche a costo di qualche accrocchio tecnologico.

Con il passare degli anni queste nicchie però si sono trasformate in asset sempre più ampi e rilevanti, fino a creare una situazione che viene fotografata da Productiv, un SaaS management platform (SMP), nel report on The State of SaaS Sprawl in 2021, citato da Scott Brinker in un suo recente post.

Fonte: Scott Brinker

Parlando di portafoglio di applicazioni le aziende hanno oggi un numero di strumenti molto alto, in tutti i tipi di dimensione dell’organizzazione. Molto più grande di quanto le organizzazioni stesse percepiscono.

Di queste, il numero di quelle appartenenti allo “Shadow It” è la maggioranza, in tutti i cluster.

Fonte: Scott Brinker

Ancora, le cosiddette app shadow IT hanno un coinvolgimento significativamente maggiore (54%) rispetto alle app gestite/di proprietà dell’IT (40%). (Productiv ha definito il “coinvolgimento dell’app” come l’utilizzo a livello di funzionalità all’interno degli strumenti su base mensile, in tutti gli strumenti, per ogni dipendente con una licenza).

Fonte: Scott Brinker

Molte di queste app fanno parte della sempre più nutrita famiglia della Marketing Technology (Martech) e non è dunque un caso che proprio in questa sfera la la citazione di una figura specializzata con il titolo di marketing technologist sia apparsa sull’Harvard Business Review nel lontano 2014, in un articolo dal titolo “The rise of the chief marketing technologist” di Scott Brinker e Laura McLellan.

Se seguite un po’ questo blog troverete questa figura molto familiare, viceversa vi rimando a questo post che è un bignami del mio libro che si intitola, appunto, #MarketingTechnologist. Trasformare l’azienda con il cliente al centro 😀.

Fonte: Gartner Marketing Symposium 2021

Come dico sempre però il marketing technologist è una figura molto moderna perché è una delle prime che anticipa quello che sta succedendo però anche in altri settori diversi del marketing, ossia la convergenza tra persone esperti di tecnologia e persone esperte del dominio di business di riferimento.

Proprio questo weekend quindi mi sono imbattuto in un podcast molto interessante di Gartner, che si intitola “The Rise of the Business Technologist”.

Gartner definisce i Business Technologist come “employees who report outside of IT departments and create technology or analytics capabilities for internal or external business use”.

Fermi tutti, ma non è la definizione di Shadow IT?!?

Sì ma con una differenza fondamentale, quattro intervistati su cinque della ricerca che ricoprono un simile ruolo hanno riferito di aver trovato valore nella collaborazione con l’IT, piuttosto che cercare di eluderlo, citando una maggiore innovazione, sicurezza e velocità nel farlo. Inoltre, il 76% dei business technologist si assume la proprietà del rischio aziendale o ritiene che sia loro responsabilità garantire che il proprio lavoro sia sicuro, aderisca ai requisiti normativi e non abbia un impatto negativo sugli altri.

Come risultato, la ricerca mostra che “organizations that successfully enable business technologists are 2.6 times more likely to accelerate digital business outcomes”.

Dei numeri che si parlano con quelli di FORRESTER quando si parla di Future Fit Technology come naturale evoluzione del concetto di adaptive enterprise.

Tecnologia e ingaggio della leadership aziendale. Fonte: McKinsey

Insomma non si tratta di competizione o di fuga dall’ICT, citando Raf Gelders, research vice president at Gartner: “Business technologists expand the CIO’s strategic reach as IT equips and empowers employees across the enterprise to build digital capabilities for making or saving money. Focusing hiring efforts and investments to fully leverage this resource base provides a major opportunity for CIOs to work with other enterprise business leaders.”

LA CONVERGENZA INEVITABILE DEI RUOLI

Come ho citato in altro un post che riprendeva dei temi già trattati anni fa, IDC ritiene che il 30% delle imprese combinerà i ruoli del #CIO, #CDO, #CTO e dei responsabili dell’innovazione in un unico nuovo ruolo di leadership tecnologica che riporterà all’amministratore delegato.

D’altra parte, come ho scritto di recente sul mio canale Telegram la parola “collide” è uno dei termini che più spesso sto sentendo nei grandi meeting internazionali sulla customer experience e la trasformazione digitale e di business.

Dal rapporto sempre complesso tra CMO e CIO nella trasformazione al concetto di Chief Connection Officer, il confine organizzativo rigido sembra essere sempre più un ostacolo piuttosto che un aiuto alla governance.

L’importanza delle connessioni. Fonte: Gartner

L’importanza della governance

Già, la governance. La chiave non è più nella “ownership” intesa in senso ossessivo ma nello stabilire dei meccanismi per mantenere ordine senza ingessare.

Quattro anni fa avevo listato 8 buoni motivi per avere una governance digitale e tecnologica che trovo ancora applicabili:

  • non si può impedire l’accesso alle tecnologie in modo parzialmente autonomo da parte di un numero sempre più ampio di persone. Dal BYOD alle soluzioni software pronte, tutti possono usare (ed acquistare) strumenti un tempo necessariamente centralizzati
  • il time to market è sempre più costretto per pensare sempre di costruire ex-novo. Le soluzioni ready to use possono essere utilissime, basta che siano viste in una logica di insieme e non ciascuna per conto suo
  • proprio perché sempre più persone usano (e acquistano) direttamente gli strumenti digitali è importante avere dietro un supporto di regia specifico che aiuti a prendere le strade corrette
  • il digitale va concepito come un ecosistema coerente e articolato, di cui non va sottovalutata la complessità a fronte di singole soluzioni pronte (pensate alla Cina e alla sua evoluzione).
  • il cliente va seguito attraverso tutti i touchpoint. Non è facile ma senza logica di ecosistema è impossibile
  • non si possono concepire più grandi progetti digital senza integrazione con i sistemi IT aziendali. Il che richiede competenze ibride di business e di tecnologia e soprattutto una visione di insieme
  • l’adozione di una tecnologia deve essere figlia di strategia e studio degli obiettivi, non il contrario. Non va quindi solo scelta la “moda del momento
  • la collaborazioni tra funzioni in un contesto di competenze cross è indispensabile. Ma non è così facile abituare culturalmente le persone, senza contare le difficoltà di capirsi in linguaggi diversi.

Cosa aggiungere per questa edizione 2021? In primo luogo sicuramente l’importanza di costruire una logica di operations efficace, per tradurre in pratica la strategia e la governance che abbiamo disegnato nei passaggi sopra.

Ancora una volta la sfera del marketing sembra essere un passo avanti nella maturazione, con il concetto di marketing operations che sta trovando la sua collocazione organizzativa (con tutte le complicazioni tra local e global) e crescenti investimenti nelle piattaforme a supporto.

Segue poi da vicino la necessità di superare il debito tecnico accumulato negli anni e che spesso viene (non senza ragione) rinfacciato alla funzione IT che ha finito per essere esclusa dal tavolo della strategia, senza quindi ricevere i giusti stimoli e anche gli investimenti adeguati.

Ma questo è un argomento sufficientemente ampio per uno (o più) altri post…