Come va l’E-Commerce B2C in Italia? Secondo i dati dell’Osservatorio eCommerce B2C 2022 della School of Management del Politecnico di Milano gli acquisti online valgono 48,1 miliardi di euro (+20% rispetto al 2021), segnando un altro incremento a doppia cifra dopo quello del 2021.

UN MERCATO COMUNQUE IN CRESCITA

Questo numero ha due facce della stessa medaglia al suo interno: da una parte ci sono le vendite di prodotto che continuano a salire, pur con un ritmo più contenuto (+8%) rispetto a quanto visto nel 2021 (+18% sul 2020), e toccano i 33,2 miliardi di euro. Quelli che invece crescono con numeri ampiamente a doppia cifra sono gli acquisti online di servizi (+59%) che raggiungono così quota 14,9 miliardi di euro.

Qui infatti turismo e trasporti, soprattutto nei mesi estivi, sono finalmente ripartiti e stanno quindi compensando le perdite generate durante l’emergenza sanitaria, che aveva sbilanciato sul prodotto il nostro mercato online che tradizionalmente invece era anomalo rispetto al resto dell’Europa (e dei paesi avanzati in genere) per lo sbilanciamento a favore dei servizi stessi vs. i beni tangibili (per varie ragioni che andavano dalla fiducia nei merchant ai temi logistici).

Se guardiamo questi valori rispetto ai numeri assoluti e di penetrazione dei paesi europei più evoluti in tal senso come UK, Germania e Francia sicuramente siamo ancora un po’ indietro, anche se il nostro tasso di crescita rispetto ai prodotti è comunque il più elevato.

Resta poi alta la penetrazione dell’uso degli smartphone per gli acquisti online (55%), dove il nostro paese è partito tardi ma poi ha visto una crescita importante.

PASSI AVANTI VERSO LA MATURITA’ DIGITALE

Il persistere di numeri di questo tipo anche dopo il picco della crisi pandemica è una dimostrazione che ormai le vendite online pure o ibride sono entrate nelle abitudini di consumo degli italiani, nonostante il clima di incertezza che investe attualmente tutti i mercati, dovuto al manifestarsi di eventi che vanno dalla crisi della Supply Chain all’aumento del costo dell’energia, accompagnato dal calo del potere di acquisto legato all’inflazione.

Lo studio rileva anche che nel 2022 rimane stabile all’11% la penetrazione dell’eCommerce sul totale Retail nei prodotti, mentre aumenta (dal 12% al 14%) quella nei servizi.

E’ chiaro però che in questi numeri non appaiono a pieno tutte le vendite offline influenzate dall’online, che ad esempio negli Stati Uniti valgono il 38% del totale retail, il che sommato al 21% delle pure vendite web porta a un valore del 59% vs. il 41% puramente offline.

E questo senza poi dimenticare la crescita del comparto B2B.

Il segno ulteriore di maturazione del nostro mercato è poi il fatto che lo spazio del Retail “solo fisico” così come di quello “solo online” si vanno a ridurre sempre più a vantaggio di modelli che sappiano coniugare i punti di forza delle diverse alternative (chioschi digitali in store, punti vendita che svolgono la funzione di magazzino per l’evasione degli ordini eCommerce e formule di Click&Collect, etc.).

Tutto questo si porta dietro alcuni punti importanti sulla maturità aziendale, tecnica e organizzativa.

CHE COSA SERVE PER DIVENTARE DAVVERO OMNICHANNEL

Prima di tutto, come scrivevo qui, si deve sempre prestare massima attenzione ai vincoli che la tecnologia che abbiamo in casa pongono nel limitare l’esperienza dei clienti e la possibilità di giocare alla pari con la propria competizione in ottica di Omnichanel Customer Experience,

Come si legge nel comunicato stampa della ricerca, “il ripensamento dei processi si traduce nell’implementazione di soluzioni tecnologiche in grado di abilitare un modello di commercio omnicanale. È in atto un processo di trasformazione e integrazione dell’infrastruttura di back-end che coinvolge a 360° le attività di gestione di un’iniziativa eCommerce: dalla raccolta e utilizzo del dato (CDP), fino alla gestione delle informazioni (PIM, DAM) e degli ordini (OMS)”.

Dal lato delle nostre aziende italiane (ma spesso internazionali) quello che emerge è che si è fatto tanto e saremmo tutti pronti a fare molto di più ma, come commentavo già 4 anni fa a proposito di una edizione precedente della stessa ricerca del Politecnico, tra il dire e il fare c’è di mezzo…l’organizzazione (poi ribadito a gennaio di questo anno)!

Avete un’area aziendale dedicata al digitale? Ottimo, ma se non la integrate con il resto presto sarete antiquati! Ci state lavorando? Beh, direi che è positivo visto che questo è il titolo di un mio post dell’ottobre dell’ottobre 2012!

Preveggenza? No, più semplicemente, come scrivo spesso, quella che viviamo oggi è una realtà che parte da lontano e che ora con la Pandemia ha subito solo un’accelerazione.

Il vero cambio di direzione infatti sta avvenendo nel modo in cui le persone usano le tecnologie, anche preesistenti, e sull’impatto sociale, organizzativo e di competenze che tutto questo comporta, dato che il cambiamento tecnologico ha carattere ecologico e non incrementale, come ci insegna il sociologo Neil Postman.

L’esperienza digitale quindi è ben più che prendere un’interazione reale con il cliente e replicarla esattamente online.

È un nuovo modo di offrire esperienze migliori ai clienti, aiuta le aziende a differenziarsi in un mercato affollato e crea nuovi percorsi, esigenze e aspettative dei consumatori. Ecco perché per essere veramente rilevante, personalizzata e perfettamente omnicanale, la gestione dell’esperienza digitale richiede anche l’implementazione di strumenti, tecnologie, contenuti e dati che aiutino i dipendenti a fornirla.

Tradurre il pensiero digitale in modo chiaro non è semplice

Passare dal pensiero all’execution è tutt’altro che facile. Secondo un sondaggio tra i consumatori del 2021 negli Stati Uniti, l’83% degli intervistati ha affermato che il fattore più importante della navigazione in un sito Web era semplicemente essere in grado di “realizzare rapidamente ciò per cui sono venuto a fare” e il 64% degli intervistati era stato “frustrato da una transazione online” nei sei mesi precedenti.

Figuriamoci cosa può succedere con esperienze più cross canale.

L’esperienza digitale sta producendo anche enormi volumi di dati. Secondo Statista, si prevede che la creazione globale di dati aumenterà da 64,2 zettabyte nel 2020 a oltre 180 zettabyte entro il 2025, quindi è probabile che il problema di archiviarli, gestirli e utilizzarli diventerà sempre più complesso. Senza contare che il 5G e l’Internet of Things (IoT) aumenteranno il numero di dispositivi ed esperienze connessi.

L’uso di questi dati e un’attenta riflessione sul fatto che spesso mentiamo a noi stessi sulla customer centricity e sul valore che offriamo ai clienti è quindi sempre più importante, non si possono usare i dati solo per validare la propria opinione precedente, e allo stesso tempo senza un’opinione nella loro lettura i dati sono lettera morta.

Seguendo quanto dicono gli analisti di Forrester, i giorni in cui si associava una persona a una job description statica sono finiti. I dipendenti diventeranno più peripatetici, sfruttando le loro capacità per contribuire al lavoro basato su progetti e ai team di sciame, piuttosto che rimanere seduti fermi in un ruolo fisso.

La velocità e la complessità con cui oggi le aziende si trovano a confrontarsi non permette più né piani rigidi e immutabili né anarchia nei processi, per cui bisogna lavorare attentamente sui ruoli che guidano il cambiamento e su una execution che permetta di non vanificare tutto il resto dei propri sforzi.

La necessità di stare al passo è indispensabile: ad aprile 2022, l’88% del campione dichiarava l’incremento dei costi di energia e trasporto, il 65% l’aumento dei costi delle materie prime e l’11% una diminuzione dell’export, soprattutto verso i paesi più coinvolti nelle tensioni socio-politiche.

Non c’è troppo spazio per le incomprensioni interne.