Prendo a prestito per il titolo di questo post l’headline di un contributo del blog di AWS che ho letto qualche settimana fa per condividere una riflessione sulla business transformation e i ruoli che la guidano.
LAVORARE PER RENDERSI SUPERFLUI?
Partiamo dall’incipit del blog: «La “D” di solito sta per Digitale o Data. Ecco la mia osservazione derivante dal vedere grandi CDO in azione: lavorano attivamente per licenziarsi o, meglio, per rendere superfluo il lavoro che hanno. Devono essere diversi, non un altro creatore di un nuovo silo né un fiorente impero di nuove idee».
Non è un concetto nuovo, e resto dell’idea che avevo espresso nella parte finale di questo post nel 2016, dove riportavo come Gartner preveda già da tempo che ruoli di trasformazione come il Chief Digital Officer diventeranno inutili quando la digitalizzazione sarà matura. Come allora, io invece preferisco dire invisibili, perché chi si occupa oggi di queste cose guida un processo che appare ormai (quasi) naturale ma che deve essere continuamente evoluto.
Paradossalmente, come vedremo subito dopo, è proprio l’hype del mondo digitale ad essere un pericolo per le aziende e anche per i CDO (o per i ruoli equivalenti che vogliamo chiamare in altro modo) mentre la chiave del successo è adottare un modo corretto di calare la tecnologia nell’organizzazione,e non viceversa.
IL “DIGITALE” NON RISOLVE TUTTO (MA AIUTA!)
In questo tipo di evoluzione io credo che vada anche spostato l’asse dalla convinzione (errata) che gli strumenti digitali siano la panacea di tutti i mali, a prescindere dalla strategia e da un loro uso coerente, al fatto che le nuove modalità di lavoro trasversale che sono indispensabili nel nuovo contesto competitivo possono essere estremamente potenziate da quello che oggi chiamiamo ancora a volte Chief Digital Officer.
Come scrivevo ormai diversi anni fa la preparazione tecnica resta imprescindibile ma in un contesto dove tutti i dipendenti sono ormai “digitali” è la capacità di influenzare con la propria conoscenza, di comunicare efficacemente il cambiamento e di aiutare a creare valore in modo esteso ad essere molto più rilevante.
Il fatto che non basta essere in un certo canale digitale per avere automaticamente successo sta diventando evidente anche nei più fiorenti business DTC e la corretta execution è ogni giorno più importante.
Il digitale in questo deve essere un fattore di differenziazione e chi se ne occupa deve aiutare tutta l’organizzazione a non cadere nell’errore di saltare da una moda all’altra per portare le nuove tecnologie dentro la propria strategia (tema più che decennale), e non viceversa cercare di adattare per forza ogni propria attività ad un certo strumento (oggi) popolare.

Il concetto quindi alla fine è abbastanza semplice: siccome gli strumenti digitali sono trasversali e pervasivi (al punto che il concetto stesso di “Digital” è pleonastico) chi si occupa di queste cose con una vista strategica può essere un grande fautore di quel superamento dei silos che tanto vengono deprecati e che poi restano sempre un blocco all’evoluzione aziendale (sapete bene che cosa penso in merito circa i temi organizzativi). Uno sforzo che richiede anche grande attenzione al linguaggio e alla creazione di una Digital Fluency che diventa sempre più importante, anche a livello di board.
In ambiti verticali sono già emerse delle professionalità ibride, come quella del Marketing Technologist che tante volte ho trattato, chi debba aiutare invece il CEO e tutta l’organizzazione potrebbe assumere diversi nomi ma alla fine deve riuscire a fare lavorare meglio tutti assieme, sfruttando in questo la tecnologia come un’opportunità e non un vincolo.
Quello che mi verrebbe da dire per ricongiungermi con l’inizio di questo post è che quindi è proprio il concetto di executive del “Digital” a perdere di senso a favore di un ruolo di facilitatore delle connessioni interne, qualcosa di più simile al Chief Connection Officer di Gartner ma con un forte focus sul modo di lavorare, anche grazie ad una tecnologia da rendere più umana.
RENDERE LA TECNOLOGIA PIÙ UMANA
Un altro dibattito che spesso vedo inquadrato in modo non corretto e su cui (l’ex) CDO può avere un ruolo importante è quello che mette in contrapposizione uomini contro tecnologie, trattato ad esempio nei libri di Jerry Kaplan e di Gerd Leonhard.
Beth Kanter ed Allison Fine, nel libro The Smart Nonprofit, definiscono “smart tech” l’IA e altre tecnologie digitali avanzate che automatizzano il lavoro assumendo compiti che solo le persone potevano svolgere in precedenza. La tecnologia smart prende decisioni al posto di e per le persone. La tecnologia intelligente e gli esseri umani non sono però in competizione tra loro; sono complementari, ma solo quando la tecnologia viene utilizzata bene.
Infatti, in un mondo ibrido, la tecnologia definisce l’esperienza dei dipendenti ma, come ho scritto anche in passato, c’è molta confusione attorno al tema dell’automazione che viene abilitata dall’intelligenza artificiale.
Io, come le due autrici citate sopra, vedo le AI e le RPA come un insieme di tecnologie che permettono a uomini e donne di fare le cose in modo diverso e migliore oltre i limiti precedenti, nella prospettiva di quello che Gartner chiama Digital Humanist, contrapposto al Digital Machinist che invece punta in un certo senso a sostituire le persone con le “macchine”.

Come si imposta un corretto approccio alla “Smart Tech”? Ci sono almeno tre punti da considerare secondo Kanter e Fine:
- Identifica i punti critici per determinare i casi d’uso corretti. Questi dovrebbero concentrarsi su aree in cui la tecnologia intelligente può assumere compiti meccanici che possono snellire i carichi di lavoro non gestibili e ridurre lo stress dei lavoratori. Delineare esattamente quali attività e persone responsabili del processo decisionale manterranno e quali attività verranno automatizzate quando il sistema verrà implementato. Ciò include l’identificazione di come l’automazione sarà supervisionata da qualcuno con esperienza in materia.
- Scegli la tecnologia intelligente giusta per il lavoro. Assicurati che il prodotto o il sistema che scegli creerà il giusto equilibrio di cobotting, ossia del lavoro congiunto di macchine e uomini. Assicurati che le ipotesi integrate nella tecnologia intelligente siano in linea con i tuoi valori. E assicurati che le attività che richiedono empatia e intuizione saranno assegnate alle persone, mentre attività come l’immissione di dati o l’analisi di enormi quantità di dati saranno assegnate alla tecnologia intelligente e non viceversa.
- Creare un circolo virtuoso di test, apprendimento e miglioramento. Procedi con attenzione e lentamente, perché può essere difficile annullare i danni dell’automazione una volta che la tecnologia intelligente è in atto. Test pilota del nuovo sistema e flusso di lavoro per garantire che le tue speranze e ipotesi siano corrette.
Tutte cose che un executive con forti competenze tecnologiche ma anche un approccio che parte delle persone e dalla strategia può davvero guidare.
Facilitatore e umanizzatore della tecnologia: c’è abbastanza materiale per divertirsi e non essere un “disappering officer”!
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