Per quanto possa sembrare di più, in realtà è passato solo poco più di un anno da quando il termine Metaverso è balzato agli onori delle cronache per gli annunci Mark Zuckerberg sul rebranding di Facebook e la relativa strategia, che per altro sembra essere ancora piuttosto ardua da attuare in termini di risultati di breve periodo.
Nel frattempo tanto si è detto tra entusiasmo e disillusione, ma come stanno le cose dati alla mano?
COME VANNO DAVVERO LE COSE: IL PERCEPITO DI CONSUMATORI E AZIENDE

Su questo mi faccio aiutare da Vincenzo Cosenza che ha pubblicato un ricco articolo che parte da due fonti autorevoli di dati: il sondaggio internazionale IPSOS-World Economic Forum e il report McKinsey “Value creation in the metaverse“.
Ecco solo alcuni insight chiave.
Se partiamo dai consumatori, a livello di confidenza la situazione è varia, con una percentuale molto più alta in Turchia, India, Cina e Corea del Sud (più di due terzi del campione) rispetto a Polonia, Francia, Belgio, Germania e Paesi Bassi (meno di un terzo dichiara di averne familiarità).
In Italia l’84% conosce il concetto di realtà virtuale, il 66% quello di realtà aumentata e il 58% quello di metaverso (6 punti in più rispetto alla media internazionale). In più, un nostro connazionale su due (46%) descrive molto/abbastanza positive le proprie sensazioni in merito.
A livello di investimenti invece ballano nel 2022 ben 120 miliardi di dollari con in prima linea le aziende dell’energia (18%), l’automotive (17%), l’hi-tech (17%), il turismo (15%) e l’intrattenimento (15%).
Infine, dal punto di vista dei vertici aziendali il 95% dei senior executive si aspetta un impatto positivo del metaverso sul proprio settore entro 5-10 anni, con il 65% che pensa che impatteranno sul 5% del fatturato entro 5 anni, mentre Gartner stima che entro il 2026 il 25% delle persone trascorrerà almeno un’ora al giorno nel Metaverso per lavoro, shopping, istruzione, social media e/o intrattenimento.
OK, MA CHE COSA SONO I METAVERSI?
Lo spiega bene Gartner in questo articolo, dicendo che un metaverso è uno spazio aperto virtuale collettivo, creato dalla convergenza di realtà fisica e digitale virtualmente migliorata. È fisicamente persistente e offre esperienze immersive migliorate.

Forrester dal canto suo sviluppa su questo un concetto di Extended Reality (XR) per progettare un design che copre un continuum che va da tecnologie più di lungo corso e spesso confuse con il metaverso, come la realtà aumentata (AR), fino ad altre sostituiscono e bypassano l’esperienza sensoriale reale.

A dispetto dell’hype, l’adozione delle tecnologie Metaverse è ancora in una fase iniziale, quindi i leader aziendali dovrebbero dosare con raziocinio i propri investimenti, anche perché nella realtà non esiste ancora un vero “metaverso” unico.
In più, non manca un discreto livello di confusione tra il concetto di Web3 e quello di Metaverso, che si toccano ma che non sono affatto sinonimi.

Il Web3, ossia la nuova “versione” di Internet dopo quella statica (1.0) e quella dominata di social e dall’interazione bidirezionale (2.0), si basa su tre elementi costitutivi:
1) la blockchain che memorizza tutti i dati sulla proprietà delle risorse e sulla storia delle transazioni condotte;
2) i contratti “intelligenti” (Smart Contract) che rappresentano la logica dell’applicazione e possono eseguire attività specifiche in modo indipendente;
3) le risorse digitali (digital assets) che possono rappresentare qualsiasi cosa di valore e interagire con i contratti intelligenti per diventare “programmabili”.
MA QUESTO COSA C’ENTRA CON IL TITOLO DELL’ARTICOLO?
La veloce spiegazione che ho dato sopra, che rimanda a dei contenuti di valore dove poter approfondire meglio, mi serve per toccare un punto che per me è chiave: non c’è niente di nuovo sotto il sole ma serve una chiave molto chiara di lettura delle cose!
Lo spiego meglio: tutto quanto sta succedendo a proposito di questi temi è una versione, più accelerata che mai, del classico ciclo di hype di Gartner, di cui trovate sotto la rappresentazione per le tecnologie emergenti (qui qualche dettaglio in più).

Non manca nulla dei fenomeni che abbiamo già visto in passato, sia in termini di entusiasmo eccessivo rispetto allo stato delle cose sia rispetto al pensiero opposto che sia tutta una bolla senza senso, mentre il vero orizzonte temporale di maturazione di queste nuove tecnologie è a detta di tutti gli analisti in un range di 5-10 anni.
Come già ai tempi, ad esempio, di Second Life, la tecnologia non è pienamente pronta e accessibile a tutti: per Matthew Ball, analista, investitore e autore di The Metaverse, i problemi principali riguardano sette aree, definite come abilitatori principali del metaverso: l’hardware, l’infrastruttura di rete, la potenza computazionale, le piattaforme, i contenuti, gli standard, i servizi di pagamento.

Visto che è una tecnologia non del tutto pronta ciò si porta dietro anche una custom experience che non è ancora ottimale e quindi sicuramente un lavoro da fare per rendere il tutto più piacevole che richiede tempo, competenza e investimenti.
Per tutti i motivi di cui sopra, ogni azienda che si affaccia a questi mondi dovrebbe chiedersi quanti dei propri clienti attuali possono essere pronti e, nello stesso tempo, quanti potrebbero essere i nuovi consumatori che potrebbero entrare in contatto con loro già oggi su questi touch point.
A questo punto, fatte le dovute precisazioni, mi sento di fare quella più importante, che viene introdotta dalla tematica tecnologica ma che va ben oltre: come essere pronti.
Come ho scritto qui, un primo punto da affrontare è quello del debito tecnico: anche in settori in cui da sempre la tecnologia è dietro le quinte, come il fashion e il lusso, oggi la digitalizzazione è il driver e dunque l’infrastruttura informatica non può restare indietro e, soprattutto, poco collegata ai bisogni del cliente.
Sì parla già dal 2019 a tale proposito di Digital Operations Platform, ossia di infrastrutture rinnovate che pensano alla customer experience e non ai vincoli interni. La qualità dell’esperienza ormai passa anche dalla qualità del meccanismo tecnologico, e quindi è evidente, come ho raccontato anche parlando del mio libro, che le due cose, magia e tecnicità, devono andare ad evolvere per forza assieme. Più le cose vanno avanti e le tecnologie diventano significativamente nuove e più questo divario tradizionale che già esisteva, ad esempio, tra i siti web e i sistemi ERP diventa profondo, lungo da risolvere e difficilmente sanabile.

Tuttavia, se il debito tecnico è sicuramente un tema rilevante per non dover sanare delle fratture difficili da ricomporre, la vera chiave di lettura, per una videocassetta come per un servizio in cloud, è il senso ultimo che il cliente attribuisce alla sua relazione con l’azienda. Spesso è anche l’obsolescenza tecnologica poi a impedire di colmare adeguatamente il gap ma il punto di partenza è più strategico e profondo.
Non molti giorni fa ne ho parlato qui, e il chiedersi come queste nuove tecnologie possono far crescere il senso che diamo alla nostra azienda nella vita dei nostri clienti è davvero l’unico modo di fare sperimentazione (necessaria) e di prepararci al momento in cui queste tecnologie, o quelle che ne deriveranno, saranno davvero mature (vi consiglio anche l’ascolto di questo podcast).
Affrontare il senso ultimo delle cose è quindi fondamentale, anche perché se è vero che le logiche di queste nuove tecnologie non sono diverse in termini dell’impatto di natura ecologica rispetto a quelli che li hanno preceduti molti concetti sono nuovi, come ad esempio quello di scarsità digitale (consiglio di ascoltare questo contributo in merito), e vanno affrontati in profondità per poi trovare la propria chiave di lettura (che poi va spiegata!).
Come ripeto sempre fino alla noia più potenti sono le tecnologie e maggiore sarà la frustrazione se non si riesce usarle in modo adeguato, quindi è quantomai importante dedicare tempo alla comprensione sia dell’aspetto tecnico sia soprattutto del come dare un senso a questi nuovi straordinari strumenti che abbiamo nelle mani.
Seguire la moda e cercare di fare qualcosa di simile agli altri in un mercato che ancora oggi non è maturo vuol dire condannarsi a non differenziare la propria realtà e a perdere il treno e l’opportunità che invece tutto questo ci offre.
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