Le cose che succedono dentro le aziende sul piano organizzativo quando si toccano gli ambiti che in qualche modo riguardano la trasformazione digitale stanno modificando molti concetti di gerarchia, e proprio sugli equilibri interni e sulle soft skill si gioca davvero molta parte della partita della leadership digitale.
Il punto di partenza è che digitale non equivale più a un dipartimento, tipicamente di marketing o al massimo di IT, quanto a un insieme di tecnologie che permettono a uomini e donne di fare le cose in modo diverso e migliore oltre i limiti precedenti, nella prospettiva di quello che Gartner chiama Digital Humanist, contrapposto al Digital Machinist che invece punta in un certo senso a sostituire le persone con le “macchine”. Inoltre, la convergenza tra funzioni diverse nella prospettiva e nella gerarchia di appartenenza rispetto agli organigrammi tradizionali ormai lo diventa nei fatti quando non è ratificata ufficialmente.

Secondo elemento, nella mia esperienza di questi anni e in quella di molte aziende emerge come nel difficile compito di fare innovazione si tenda a pensare a questo termine solo come sinonimo di rivoluzione, di radicale cambio, di superamento del passato in modo secco, che cade dall’alto. Invece, come ho scritto recentemente anche su Tech Economy, il processo è maggiormente dinamico e comprende spinte distruttive e altre evolutive dell’esistente.
Ecco perché la risposta alla trasformazione di un leader è la capacità di coinvolgere e di fare crescere l’innovazione dall’interno in modo collaborativo, non solo di imporla, anche perché poche persone possono già fare la differenza ma solo una cultura diffusa a tutti i livelli si può trasformare in reale cambiamento. E la gerarchia qui è importante per poter incidere ma non basta.
Scott Brinker, nel suo interessante ultimo libro “Hacking Marketing”, dice molto chiaramente che anche solo all’interno di un dipartimento specifico quale può essere il marketing il rischio del collo di bottiglia con un decisore unico e strettamente gerarchico è alto in un contesto di lavoro agile. Figuriamoci quindi nell’intera organizzazione.
Quali sono allora le caratteristiche vincenti? Sono delle soft skill!
1) La preparazione tecnica resta fondamentali ma in un contesto dove tutti i dipendenti sono ormai “digitali” è la predisposizione condividere la propria conoscenza e di aiutare a creare valore in modo esteso ad essere molto più rilevante.
2) Di conseguenza bisogna sapere comunicare efficacemente in quanto l’obiettivo è quello di creare consapevolezza, che ripeto non vuol dire competenza tecnica spinta di tutti su tutto ma appunto la capacità di evitare quei malintesi clamorosi e quelle occasioni perse che derivano dal non capirsi.
3) Capacità di ascoltare, per coinvolgere tutta l’organizzazione serve infatti tanto dialogo e tanto ascolto con l’aiuto di ruoli che facilitino lo scambio e guidino in modo discreto ma chiaro la transizione.
Che cosa ne pensate? La vostra organizzazione è pronta per questo nuovo mindset?
giugno 28, 2016 at 8:31 am
Grazie Luigi, articolo interessante… Nelle mie lecture inserisco anche un concetto più esteso che declino con:
1. Sensibilità ai fattori esterni del cambiamento (cosa succede vicino alla tua azienda che può essere un’opportunità o un minaccia)
2. Capacità di decisione “data driven” ovvero l’utilizzo intelligente delle informazioni chiave per le scelte sul futuro
3. Velocità di azione in assenza di tutti gli skill necessari (ovvero creazione di un master plan chiaro e condiviso da tutti e declinazione degli skill necessari per raggiungere l’obiettivo “in corsa”).
Se ritieni possano interessarti per un tuo prossimo articolo parliamone, ho molto materiale sul tema.