Non passa giorno in cui non si discuta animatamente di intelligenza artificiale, di metaverso e di altri temi a forte carattere tecnologico che però sono diventati di dominio pubblico, almeno sul piano della conversazione (già diverso probabilmente è il tema della loro reale comprensione).
Siamo entrati in un’epoca nuova? Sicuramente stiamo assistendo a cambiamenti che sono destinati ad incidere in modo rilevante nella nostra vita per i prossimi anni a venire, tuttavia mi piace fare qualche considerazione che va al di là delle più classiche headline che leggiamo ogni giorno.
LE TECNOLOGIE INNOVATIVE COLGONO IL MOMENTO PERFETTO
Si tende sempre a pensare che le grandi innovazioni avvengano come improvvise rivelazioni che poco hanno a che fare con il momento precedente.
Nella realtà però più spesso quello che succede davvero è che ad un certo punto una serie di condizioni si allineino creando il contesto perfetto per una nuova fase.
Chi coglie questo momento per bravura e magari un pizzico di fortuna (che aiuta sempre ma non è di certo sufficiente) riesce improvvisamente a sfondare dove magari già altri avevano fallito o dove sembrava che ci fosse uno status quo difficilmente modificabile, trovando la chiave di lettura o la variazione sul tema più giusta.
Un esempio noto e dirompente è quello del lancio di iPhone: il 9 gennaio 2007 tutte le tecnologie abilitanti allora ancora emergenti iniziavano ad essere mature, stabili e scalabili permettendo un nuovo modello di relazione con il mondo digitale oltre che una vera e propria economia (la App Economy).
In questo contesto un’azienda e una persona in particolare, Steve Jobs, hanno colpito nel segno con una perfetta attività di design tecnologico e comunicativo, per nulla casuale come tempistica e ideazione.
Altre tecnologie invece appaiono altrettanto promettenti ma per delle combinazioni di fattori non sono destinate a sfondare, a volte con la triste sorte di scomparire ma molto più spesso invece, se di valore, con un successo e una piena maturità che sono solo spostate in avanti nel tempo.
Ciò cui oggi assistiamo non è concettualmente diverso da simili episodi del passato ma allo stesso tempo ha un fattore a mio avviso nuovo nell’accelerazione dell’aspettativa e nella velocità con cui nascono e muoiono certi trend (almeno superficialmente per il pubblico più vasto).
IL PROBLEMA DELL’ACCELERAZIONE
In questo momento storico, il noto e ampiamente testato concetto del ciclo di hype sta subendo una vertiginosa accelerazione dei suoi tempi e un’intensità mai vista delle sue fasi dell’aspettativa e della delusione.
Se guardiamo ad esempio quello di Gartner sulle tecnologie emergenti (datato 2022) troveremo una differenza importante tra ciò che oggi mediaticamente è sulla cresta dell’onda e i rispettivi tempi di maturità attesa. E le previsioni di altre società di advisory e di ricerca non dicono cose particolarmente diverse.

Per ricollegarmi alle mie prime considerazioni, anche qui questa accelerazione non è affatto un fattore nuovo.
Sune Lehmann, della Technical University of Denmark and Center for Social Data Science, nel 2016 aveva condotto delle ricerche che avevamo dimostrato che nel 2013 gli argomenti in tendenza su Twitter rimanevano tali per in media 17,5 ore, mentre già nell’anno della ricerca, dopo solo 36 mesi, questo valore era già sceso a 11,6, con un dato che oggi con buona probabilità è drammaticamente più basso.
Per rafforzare ancora di più il fatto che il trend parte da lontano, la stessa ricercatrice ha scoperto anche che ogni decennio nell’ambito dei libri gli argomenti di tendenza appaiono e svaniscono a velocità sempre crescente, da ben prima dell’avvento della rete Internet.
È evidente quindi che qui tutto si fa più veloce e che l’eroe del giorno dopo poche settimane o addirittura meno può essere dichiarato un flop,
E di solito sia l’elezione a eroe del nuovo futuro sia la cadute sono troppo nette rispetto a un giudizio corretto su quello cui stiamo assistendo.
Il problema però è che queste accelerazioni non coinvolgono solo la sfera mediatica e l’attenzione del pubblico ma si portano dietro invece, sulla scia dalla sindrome del FOMO sull’innovazione e sulle novità, ingenti investimenti delle aziende, che si rivolgono a temi che vanno sicuramente affrontati per tempo e con cognizione vivendoli però come qualcosa che è già pienamente maturo.E la successiva disillusione uccide la sperimentazione che invece è fondamentale davanti a temi così trasformativi nel medio periodo, invece di rendere più condivisa la conoscenza e il linguaggio a proposito della tecnologia.

Se poi questa “ansia” coinvolge anche i big del mondo tech, come abbiamo visto sia con Meta con la sua focalizzazione su di un metaverso ancora da creare sia con Google con l’anticipazione del lancio di Bard per constrastare l’hype del duo Microsoft e ChatGPT (a loro volta non provi di qualche difetto di gioventù), beh sicuramente occorre riflettere (e forse attendere un po’ di più, come sta facendo Apple).
MA ALLORA È TUTTA UNA BOLLA?NO MA OCCORRE UNIRE I PUNTINI
Nel lontano 2015 scrissi delle considerazioni sull’innovazione incrementale citando lo stesso Steve Jobs che aveva detto ben chiaro (su Wired) che “creativity is just connecting things”.
Il continuo (ma decennale) aumento della complessità e la già citata velocità dei cambiamenti non aiutano certo a mettere facilmente dei punti fermi, rassicuranti e sempre uguali a se stessi ma è solo un pensiero più ampio che può permettere di trovare le giuste chiavi di lettura.
Il primo punto a mio avviso è che la tecnologia deve aiutare a rendere la vita più semplice, non a complicarla, avendo in testa ben chiaro il fatto di dover risolvere i problemi delle persone (non da oggi) e rendere il lavoro e il tempo libero momenti migliori.È anche una delle prime cose che dice il CEO di Google Cloud Thomas Kurian in questo podcast interessante che ho ascoltato, a cura di McKinsey.
Parlando di Metaverso quindi il punto è che il gaming ha già una sua dimensione e un senso compiuto per gli utilizzatori, e infatti i vari Roblox, Minecraft e gli altri loro competitor sono nati in tempi ben precedenti gli annunci di Meta di solo 18 mesi fa (anche se sembra passato un secolo), mentre per gli altri usi, pur promettenti, non c’è ancora un valore aggiunto così forte per l’utilizzatore finale medio per superare la difficoltà della curva di apprendimento. E il Web3, che non è il metaverso, ha già solide applicazioni con però un tipo di pubblico tipicamente early adopter.

Quello che rende invece più appealing strumenti di generative AI come ChatGPT e, in misura un po’ minore quelli più legati alla sfera delle immagini, è la facoltà dell’interfaccia per l’utente finale, almeno per i casi di uso più semplici, che fa dimenticare i limiti e crea un (legittimo) entusiasmo che porta a vedere queste tecnologie, già straordinarie, come totalmente mature.
La facilità di accesso per tutti è ciò che ho trattato già all’inizio del 2020 anche nella parte iniziale del mio libro sulla Marketing Technology, evidenziando come, ad esempio, il progressivo passaggio dall’HTML ai programmi di editing per arrivare infine alla possibilità di creare contenuti testuali e multimediali in tempo reale con limitate conoscenze tecniche direttamente da un cellulare hanno reso accessibile a tutti questi mondo, non senza generare complessità a causa della riduzione delle differenze tra professionisti e dilettanti.
Se uniamo i puntini di questa accessibilità con le potenzialità del metaverso e i (reali) bisogni degli utilizzatori possiamo vedere dove, a mio avviso, possiamo immaginare si muoverà tutto questo in una fase di maggiore maturità.
ALCUNE IMPLICAZIONI CHE VANNO GIA’ OLTRE IL SEMPLICE CHATBOT
Everyone becomes a creator! È l’idea che la popolare piattaforma Roblox ha lanciato con il suo annuncio dello scorso venerdì 17 febbraio che trovate a questo link oltre che illustrato nel video sotto.
Come si legge nel testo “stiamo costruendo una piattaforma che consentirà a ogni utente di essere un creatore, non solo quelli a proprio agio con Roblox Studio e altri strumenti di creazione di contenuti 3D”.
Come? Attraverso la #AI generativa, dato che “questi strumenti possono aiutare a rendere la creazione intuitiva e naturale per gli utenti ed essere direttamente integrati nelle esperienze, consentendo a uno qualsiasi dei nostri 58,8 milioni di utenti giornalieri di creare contenuti unici che possono essere condivisi su tutta la piattaforma”.
Mettere insieme questa opportunità con le tecnologie del gaming e del metaverso può aprire una nuova fase nella creazione di contenuti in questi spazi e, sempre citando Roblox, creare un ecosistema: “vediamo anche un’enorme opportunità per la stessa comunità di intelligenza artificiale di diventare creatori sulla piattaforma […] e immaginiamo la comunità come un moltiplicatore di forza per l’IA generativa, creando un ecosistema che i nostri creatori e utenti possono sfruttare per creare contenuti e strumenti in modo più efficace”.
Allo stesso modo, l’esito più immediato che si può attendere dall’integrazione di ChatGPT con Bing è una ridefinizione dell’interfaccia della ricerca, tema già caldo sui nuovi consumatori come ho scritto qui parlando di Google Maps e TikTok. Lo scenario non è poi privo di incognite, come scrive Luca De Biase “un conto è che il motore restituisca una lista di siti e l’utente scelga quelli che fanno al caso suo. Un altro conto è che restituisca invece un elaborato: non sarà facile, in quel caso, capire se i risultati prodotti delle intelligenze artificiali conterranno errori, pregiudizi o disinformazione“.
Ma, pur non dimenticando mai il fondamentale ragionamento etico sugli impatti, siamo davanti a concetti che incrociano in modo rilevante le necessità delle persone e un nascente ecosistema tecnologico che facilita l’accesso a domini che prima era appannaggio dei soli esperti.
Andando ancora più a fondo e ancora più vicino all’esigenza più immediata delle persone, io resto sempre convinto che questi strumenti siano una scorciatoia al lavoro umano più ripetitivo e non la sostituzione degli individui.
Tutti soffriamo a vario titolo della spinta ad essere multitasking ma gli esseri umani, a differenza dei computer per cui questo concetto nasce, hanno un solo processore, il nostro cervello, e quindi non possono elaborare compiti cognitivi realmente in parallelo ma solo spostarsi velocemente da un compito all’altro. In più, gli studi sulla concentrazione dell’Università del Minnesota a proposito dei residui di attenzione dimostrano che passando da un compito A ad uno B viene consumata una quota attorno al 20% di attenzione (con relativo dispendio anche fisico di energie).
L’eliminazione di compiti a basso valore aggiunto per lasciare all’essere umano “solo” la valutazione qualitativa e/o lo sviluppo dei concetti di base può essere una grande soluzione, se unita un più sano approccio al lavoro e alle richieste ovviamente.
Dei tanti usi possibili mi piace menzionarne un paio, il primo, che ho sentito in questo podcast di FORRESTER Research, riguarda il tema dei talenti: attrarre i migliori collaboratori in un contesto odierno di forte competizione e dove bisogna fare saving non è banale, molto importante dunque è far crescere anche le proprie risorse interne con una mobilità interna. In questo, le Ai per analizzare i profili e altre tecnologie per mappare le vere competenze, al posto dei puri job title, diventano davvero interessanti. Molte organizzazioni, infatti, non conoscono veramente le skill e le caratteristiche delle proprie persone, mentre questa maggiore conoscenza che va al di là della job description può conciliare l’attenzione ai costi con la gestione dei talenti.
Un secondo caso poi riguarda la sfera Martech, di cui ho parlato qui partendo da un evento di Scott Brinker e Frans Riemersma di cui trovate la registrazione integrale qui di seguito.
All’interno dei grandi trend Martech elencati ce ne sono almeno due sulle tecnologie emergenti, il primo riguarda le Ai generative come modalità di creare determinati tipi di contenuti in modo nuovo e più veloce.
La seconda riguarda il tema del low code / no code, ossia della possibilità di programmare senza conoscere specifici linguaggi che dietro cela, appunto, un ampio uso di intelligenza artificiale.
A ben guardare c’è anche il Web3 e il metaverso, dove però i due esperti sono piuttosto freddi, limitatamente è ovvio al solo 2023.
In conclusione, come viene ben spiegato qui, il linguaggio non è esaustivo dell’intelligenza e del pensiero umano, e non lo è nemmeno la rappresentazione visiva, dunque le intelligenze artificiali oggi eseguono ordini e processano dati, senza essere davvero “intelligenti”.
Sfruttare la convergenza di questi mondi tecnologici con le necessità reali delle persone senza trasformarli al contempo in oracoli infallibili o realtà virtuali distopiche credo sia la sfera sfida dei prossimi anni, che va oltre l’hype mediatico e richiede una comprensione ragionata e profonda.
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