In questi giorni ha destato molto scalpore il caso sollevato da Marco Camisani Calzolari che ha comprato con successo un grosso quantitativo di follower finti su Twitter a un costo irrisorio, per dimostrare la facilità e la diffusione di queste pratiche.

Il tutto ha avuto ampio riscontro anche sui media generalisti che hanno gridato allo scandalo rispetto questo tipo di comportamenti scorretti, assolutamente deprecabili ma purtroppo non nuovi agli addetti ai lavori.
Come giustamente rilevato da Marco ci sono molti che fanno i furbi ma io trovo anche che ci sia una colossale ignoranza su tutte queste tematiche da parte di aziende (e media), con il costante pensiero che certi strumenti che si usano (spesso male) per finalità private siano per questo già patrimonio di conoscenza dell’azienda. E se anche ciò non fosse, abbiamo sempre alla porta una schiera di guru del settore che dopo aver speso una quindicina di giorni online si sentono pronti a cambiare le sorti strategiche delle aziende.
Mancano invece alcuni elementi di base, che proverò a sintetizzare in pochi punti.
La prima domanda importante che nessuno si pone è: che cosa me ne faccio di questi follower o fan che acquisisco? Poniamo che io abbia raggiunto con politiche scorrette un volume elevato di persone che figurano sulle mie pagine social, di cui però non so praticamente nulla e che non interagiscono con me in alcun modo: che valore hanno?
Forse solo quello di mostrare ai vertici aziendali che abbiamo un caso di successo (?!?) sui social network che a loro volta sono “lo strumento di marketing del momento”.
La faccenda poi si lega a doppio filo al tema dei social media come parte di un ecosistema digitale che ciascuna azienda può attivare per raggiungere i propri obiettivi attraverso una specifica strategia.
In questa frase ci sono già due elementi che chi acquista dei fan al chilo omette: gli obiettivi, che non possono essere un mero “io ho più fan di te”, e la strategia digitale complessa che dovrebbe portare l’azienda a costruire dei database/community proprietari e attivare diversi mezzi di cui i social media sono solo una parte, seppure importante.
Infine, se vogliamo iniziare a parlare di ROI non possiamo non considerare la differenza fra fan attivi e semplici numeri, anche perché solo gli attivi producono dei dati davvero utilizzabili in ottica di big data e business intelligence.
Ma mi sembra che se ad oggi stiamo ancora discutendo sul numero grezzo il mondo quel mondo è molto molto lontano e la scelta di utilizzare certe piattaforme tecnologiche è dovuta solo all’hype mediatico e alla moda. E dunque la delusione è inevitabile, tanto per le pmi che per i grandi colossi.
Voi che ne dite?
Maggio 22, 2012 at 4:41 am
Tu parli di ROI ma “questi” che comprano follower non sanno nemmeno come funzioni l’attività in Rete per cui non si pongono il problema. Non mi meraviglio più di nulla, a 45 anni e lavorando da 15 seriamente ho visto tanta improvvisazione e leggerezza. Sono fenomeni che passano, anzi, spesso si ritorcono contro a chi li attua.
Maggio 22, 2012 at 10:59 am
Approvo l’analisi.
Il mero numero di followers su twitter o fans su facebook al massimo può far colpo su chi visita la pagina o guarda il profilo dell’azienda ma niente di più.
Ho inoltre la personale convinzione che, al momento attuale (bisogna dirlo perchè la situazione è fluida e in continua evoluzione) il massimo dell’effetto, dal punto di vista del marketing e del ritorno di immagine per l’azienda, non sia tanto il poter sfoggiare questi numeroni bensì l’avere followers/fan di qualità: intendo con questo che se invece di pagare per avere un numero da mostrare sul proprio profilo l’azienda pagasse qualche fan/follower trend-setter per parlare bene dell’azienda otterrebbe molto di più (è il meccanismo che oltreoceano ha fatto la fortuna di diverse blogger di moda).
Mi piacerebbe che qualcuno confermasse una mia personalissima teoria: uno dei motivi, e forse il motivo principale del successo dei social network è la sua democraticità, il fatto che parta dal basso, dagli utenti, che coinvolga frotte di amici e che li riunisca come al bar (parlo di tw e fb ma si potrebbe traslare il discorso anche su linkedin con i debiti adattamenti)… credo che questo sia un dato di fatto.
In questa visione, il fatto che le aziende entrino nei social network con un proprio profilo/pagina non è sempre visto come una cosa positiva, anzi forse qualcuno più o meno subconsciamente vede una presenza aziendale in un social network come un inquinamento pubblicitario di un mondo dove apparentemente le profilazioni e l’advertising finalizzato al venderti qualcosa sono limitate (sappiamo quanto fallace sia questa sensazione ma credo sia una percezione diffusa), come un’invasione di una sfera sociale ma privata, comunque percepita lontana da questioni commerciali.
Allora, stante questa ipotesi, è davvero conveniente per un’azienda investire per avere una presenza forte ed attiva in prima persona in un social network o le sarebbe piuttosto conveniente avere una presenza minima, quasi defilata, ed essere piuttosto molto presente nei post degli utenti (sulla bocca di tutti, diremmo fuori dai luoghi digitali)?
ciao
un profano
luglio 22, 2012 at 10:58 PM
è una cosa assolutamente senza senso…chissene dei numeri, l’importante è quello che fanno i veri fan, quanto sono fedeli, quanto traffico generano, quanto interagiscono…parlo da blogger