Questa volta inizio la settimana con un’infografica che riguarda il team del social media, ma che mi serve anche per evidenziare altri concetti organizzativi e strategici sul digital marketing.
Leggete intanto qui sotto che cosa si dice su numero di persone e organizzazione del team per i social.
In vacanza, e quindi con un po’ di calma rispetto al solito, mi sono imbattuto nella copertina del nuovo periodico “Selfie” girando tra i miei social e, come penso molti voi, sono rimasto in prima battuta un po’ perplesso, in particolare leggendo gli strilli di copertina. A dire il vero ho pensato subito a un “Cioè” reloaded.
Spesso vengono proposte in rete interessanti infografiche sul cliente che potremmo dover gestire tra 5 o 10 anni, questa volta invece vi propongo per un breve commento una versione che parla invece del 2015. Ossia dell’anno prossimo.
Personalmente sono d’accordo con la maggior parte dei temi proposti nell’immagine, con una grande considerazione di fondo: queste rivoluzioni si stanno sviluppando in modo costante e sistematico da anni, senza strappi eclatanti ed improvvisi, e ora si iniziano a vedere davvero in atto.
Un altro grande tema, non nuovo, è quello del trust: l’importanza di una reale fiducia in un brand che va (anche) oltre l’advertising si consolida nel tempo, e se UGC e peer review esistono da anni la loro importanza è ormai giunta a maturazione. Questo non vuol dire però agire solo sul social media e sul valore dei fan/follower, ma anche ragionare in una logica di sistema dove la nostra coerenza è totale attraverso tutto gli strumenti ed i comportamenti.
Potrei continuare a lungo, anche perché sono temi che ho trattato spesso in passato, quello che mi piaceva però lanciare come riflessione con questo post è la consapevolezza che i grandi cambiamenti indotti dalla tecnologia sono ormai presenti, con continuo e lento avanzamento.
Questo obbliga oggi le aziende ad essere attente ed anche umili osservatrici dei fenomeni in corso che vanno capiti e cavalcati (sulla base dei bisogni dei clienti) prima che diventino così forti da segnare un ritardo incolmabile.
Servono competenze, una nuova cultura con le persone al centro e la possibilità per gli innovatori interni di agire con il committment dei vertici e il supporto di tutta l’azienda.
Perché intanto la rivoluzione senza clamore continua.
Ci sono tanti temi bellissimi sulla multicanalità, sul mobile e sul marketing del prossimo futuro in genere di cui mi avete visto scrivere tante volte qui e altrove. Cose entusiasmanti cui però troppo spesso manca un dettaglio fondamentale: i contenuti!
Sappiamo già che troppo spesso ci si innamora di una tecnologia senza prima valutare per quale pubblico, strategia e obiettivo la vogliamo adottare, con il risultato classico di rimanere delusi. Anche quando però il percorso POST viene correttamente declinato il rischio è di tralasciare la verità che qualunque strumento di comunicazione vuoto e fine a se stesso non si può chiamare tale. Non c’è niente di più triste di uno schermo nero o di un blog aggiornato all’anno prima. Ma non è così semplice come sembra e, soprattutto, la definizione dei contenuti dovrebbe venire prima della creazione degli strumenti che dovranno riempire e far vivere e non viceversa.
Oggi differenziarsi è un’operazione dura sul piano dei prodotti o dei servizi offerti ma non di meno è dannatamente difficoltoso poi far percepire questa differenza al cliente in termini di valori materiali e immateriali. Il cliente ha voglia di storie. La vostra, quella del prodotto, quella del testimonial, quella del mondo di riferimento del brand. E c’è già chi dice per questo che il sito corporate in quanto tale è morto.
In estrema sintesi dunque bisogna essere pronti a tre sfide reali:
1) la qualità dei vostri contenuti deve essere alta e basata non solo sulla piacevolezza visiva (fondamentale) ma anche sulla reale rilevanza che il fruitore vi attribuisce. Non è una semplice campagna advertising ma storytelling, e la metrica davvero rilevante è l’engagement.
2) i vostri contenuti devono essere liquidi: che si tratti di testi, foto o video l’esperienza non si può interrompere tra un device e l’altro e contemporaneamente lo sforzo di adattamento e rilavorazione da parte vostra deve essere minimo. La capacità di distribuire e declinare i vostri contenuti attraverso tutti i touch point (social inclusi) non è meno fondamentale che l’abilità nel crearli. Senza contare poi che il contenuto è uno di quei fili che legano i vostri owned, earned e paid media.
3) i contenuti si evolvono nel tempo ma si deve poter sempre scorgere il filo rosso che li lega, per sedimentare e costruire. Come già per i social, parliamo di relazione più che di comunicazione pura, non basta l’azione eclatante ma serve piuttosto un percorso constante.
Ci sono diversi tipi di strumenti e di tecnologie che hanno cambiato il modo di lavorare e di vivere: Internet prima di tutto, poi i social media, gli smartphone, la cloud e molto altro.
In tutti questi casi parliamo, giustamente, di rivoluzioni digitali perché il loro effetto è stato dirompente.
In realtà, secondo me, i fatti sono un po’ più complessi: in tutte le rivoluzioni, come ricorda anche Gianni Riotta nel suo recente libro su Internet, il cambiamento è più lento e in parte imprevedibile nei suoi esiti e chi cerca di vedere solo fenomeni eclatanti o di seguire l’ultima grande moda rischia la delusione.
Lo stesso discorso vale per la penetrazione dei social network, che come ho scritto in passato parte da lontano e da una serie di fattori che solo ad un certo punto diventano così chiari da creare l’hype mediatico. Anche qui però gli utilizzi da parte delle aziende sono poco efficaci perché agiscono sulla parte più spettacolare e visibile del processo, e non sul misurare quelle correnti profonde dove però sta il valore.
Ed è proprio al valore che occorre guardare in un’epoca che Brian Solis definisce “digital Darwinism, a time when technology and society are evolving faster than the ability of many organizations to adapt. It is for this reason (along with a myriad of other problems of course) that in fact killed Borders, Blockbuster, Polaroid and the like.”
In questo il digital è una leva fondamentale ma non basta da solo se non si parte dalla prima domanda: perché stiamo facendo questo e quale è il significato profondo del nostro proporre prodotti e servizi al mercato?