Ho scelto questo titolo per non rischiare di passare inosservato, visto che vorrei trattare un tema importante e controverso, la cultura del social web e il mondo aziendale.

Un primo spunto che mi ha fatto iniziare la scrittura sono stati i due post di Dario Ciracì e di Valentina Maggi, che lamentano la scarsa apertura aziendale, descritta in termini di “dilagante ignoranza”.
Un altro fatto che mi ha portato a questa riflessione è stato poi il vivace dibattito sul ROI dei social media che si è generato durante le due giornate di Young Digital Lab, tema complesso di cui mi sono già occupato in passato e che quindi, per brevità, non riprendo qui.
Dal momento che ho la fortuna di lavorare su questi e altri temi all’interno di un’azienda grande e strutturata vorrei dare il mio contributo sul tema della cultura e di come farla crescere.
Sicuramente all’interno delle imprese mancano le competenze sul tema del web (anche per gli aspetti più semplici, figuriamoci poi su social), questo in realtà è un fatto comprensibile e assolutamente superabile ad una condizione: la volontà di capire e di ascoltare chi può saperne di più. In molte delle conferenze cui ho partecipato come relatore ho avuto come pubblico solo agenzie mentre i manager di azienda, i veri interessati, erano assenti.
Questo mix di scarso interesse e, a volte, di arroganza e di paura di perdere terreno da parte di chi ha gestito finora la comunicazione e il marketing tradizionale rende difficile l’evoluzione e la penetrazione della cultura.
Mi sento di dire però che il mondo delle web agency o dei consulenti non è privo di colpe.

In primo luogo ci sono tante persone che non sono realmente preparate e che trascinano le aziende in progetti improbabili, costosi e controproducenti senza alcuna strategia, sviluppando nel contempo meccanismi di outsourcing non virtuoso.
Inoltre chi si occupa di social media spesso paga una scarsa conoscenza delle logiche aziendali che si traduce in poca concretezza delle proposte e nell’incapacità di spiegare e motivare le proprie ragioni quando si arriva alla domanda fatidica: quanto costa e quanto ci rende? Questa domanda non è eludibile ed è giusto che i manager la facciano, io stesso la pongo a chi mi porta i progetti per poter pesare le proposte, dato che ho un conto economico da gestire.

I miei interlocutori hanno la fortuna (o sfortuna se non sono preparati) di trovare in me una controparte in grado di capire un po’ meglio di altri i temi, eppure spesso mi rendo conto che senza le mie basi personali farei fatica a seguire molti dei ragionamenti che non sono tarati sulle concrete esigenze dell’impresa.
In conclusione dunque trovo che paradossalmente ci sia poca capacità di dialogo e reciproca comprensione proprio sul marketing dell’ascolto: da una parte (l’azienda) poca competenza e disponibilità, dall’altra incapacità di tarare le proposte sulle logiche aziendali e deboli argomentazioni quando si tratta di spiegare che le modalità di misurazione del ROI e del ROE vanno riviste.
La cultura si può sviluppare invece solo lavorando assieme, portando risultati concreti e facendo partecipare le persone dell’azienda al processo di costruzione della relazione e del dialogo. La collaborazione, dentro e fuori all’azienda, è un fatto di testa, siamo pronti a costruire assieme?
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aprile 19, 2010 at 7:05 am
Bel post!
Nella discussione sul mio post emerge come c’è un elevato numero di persone “settate” diciamo sugli standard del marketing mix tradizionale, e che non vedono il social media marketing come una vera e propria strategia di investimento in cui credere.
Il problema è sempre lo stesso. La sfiducia. La diffidenza. Ci si sente dire ma che ritorno sull’investimento mi porta? Ma soprattutto “me lo porta subito?”.
Io credo che nelle consulenze e formazioni, prima di spiegare il web 2.0 e i mezzi tecnici del social media, vada propria fatta un’attenta analisi sul marketing tradizionale, su come si sia evoluto, su come stiano fallendo sempre più i paradigmi consolidati e sono come ne emergano di nuovi.
Una volta che gli entrano in testa sti concetti, forse saranno più “aperti mentalmente” 😉
aprile 19, 2010 at 9:27 am
“La cultura si può sviluppare invece solo lavorando assieme, portando risultati concreti e facendo partecipare le persone dell’azienda al processo di costruzione della relazione e del dialogo.”
In qualche manuale universitario mi ricordo di aver letto che il marketing non dovrebbe essere un’area indipendente dal resto della struttura, ma un insieme di linee guida che dovrebbero permeare ogni reparto dell’azienda.
Finchè nelle aziende non si diffonderà questo tipo di cultura, difficilmente troveremo terreno fertile per l’educazione al social…
aprile 19, 2010 at 10:18 am
Ciao Dario, per quanto riguarda la fiducia il problema è serio e reale, io credo che però si debbano sviluppare argomentazioni in grado di far capire che i paramentri di redditività per i social sono diversi. Insomma lo si deve spiegare nella lingua dell’azienda!
Ciao Valentina, infatti non è questione solo di marketing ma di cultura d’impresa nell’insieme, a maggior ragione bisogna saper spiegare bene i concetti strategici di fondo.
Certo poi l’interlocutore deve anche voler ascoltare…
aprile 19, 2010 at 4:02 PM
Sono d’accordo con te, soprattutto quando dici ‘il mondo delle web agency o dei consulenti non è privo di colpe’.
Da un lato (agenzie) c’è la scarsa conoscenza delle logiche aziendali e dall’altro (aziende) una scarsa conoscenza del mezzo.
Le evoluzioni possibili sono due: team di social media marketing interno alle aziende oppure esperti di marketing delle agenzie ‘formati’ sui business specifici, magari perfino ‘implant’ presso il cliente.
Quale delle due? C’è una terza via secondo te?
pasquale
aprile 19, 2010 at 4:12 PM
Ciao, la cosa migliore in assoluto è avere una persona dell’azienda che sia dedicata, magari supportata da personale esterno ma comunque interna.
Questo perché tale persona può fare da evangelista e perché per fare bene del social media marketing deve conoscere tanti dettagli sulla vita aziendale.
L’altra scelta è pure percorribile ma mi sembra costosa e complessa. Credo dunque che tra interno ed esterno dell’impresa ci siano vari possibili rapporti e dinamiche che ci possono costruire ma sono un fautore del presidio aziedale, fosse anche solo di coordinamento, sul tema dei social media.
aprile 19, 2010 at 4:32 PM
Quindi sei in stile Associated Press: http://lucaconti.nova100.ilsole24ore.com/2009/11/associated-press-assume-un-social-media-manager.html ?
Immagino questo derivi dalla tua esperienza personale, o no?
aprile 19, 2010 at 5:58 PM
Pasquale, tu affideresti le tue relazioni personali a terze persone? Secondo me con i brand è lo stesso…aiuto sì,delega no.
aprile 20, 2010 at 5:13 PM
Mi permetto di allargare il problema. Questo delle competenze in comunicazione è un tema più vasto, che da sempre riguarda ad esempio il rapporto fra agenzia pubblicitaria e azienda. C’è da sempre – generalmente parlando – un deficit di professionalità all’interno delle aziende sui temi della comunicazione che rende difficile il dialogo con i consulenti e le strutture partner, questo mi pare acclarato. A me è capitato molte volte di constatarlo personalmente. Aggiungiamoci oggi che c’è un deficit di professionalità anche nelle agenzie (anche le web-agencies, a maggior ragione le altre) rispetto ai social media, alla conversazione, all’ascolto on-line e si capisce quanta strada c’è ancora da fare e come la forbice di incomprensione si sia ulteriormente allargata. Mettici infine che il social media marketing è un sapere ancora magmatico, giovanissimo, poco sedimentato e in rapidissimo divenire… ed ecco che il problema appare grande.
Mi permetto però di prendere una posizione netta. Per le agenzie è più facile aggiornarsi, è il loro core business, non possono restare indietro. E così sarà. Il problema è nelle aziende. Non si tratta solo di sviluppare maggiore professionalità solo sull’ambito social media, ma su tutto il versante comunicativo, anche quello cosiddetto “tradizionale”.
aprile 20, 2010 at 7:46 PM
Io ribadisco le mie convinzioni: troppo pochi gli utenti “UTILI” sul Web, cattiva cultura aziendale, troppa autoreferenzialità…
Alex
aprile 21, 2010 at 7:13 am
Bella riflessione. Credo sia fondamentale che le aziende diventino social come attitudine per essere efficaci anche a livello di comunicazione. Questo significa avere tra i propri dipendenti persone di valore e consapevoli di come può avere senso comunicare attraverso il social web.
Il valore che può venire dall’esterno è un supporto ed è sempre una logica di “partnership” più che di “outsourcing”.
Espressioni significative del tuo post: “lavorando insieme”, “costruzione”, “relazione” e “dialogo”.
aprile 21, 2010 at 8:13 am
Alex, cosa intendi on quell’ “utili”? Penso di aver capito ma mi piacerebbe se chiarissi. Approfitto per salutare gli altri amici commentatori e un grazie a Gianluigi per la pertinente riflessione e l’invito a parteciparvi.
aprile 21, 2010 at 2:01 PM
@Alessandro: se ricordi il mio post del mese scorso sul branding e i socia media (WEB PUNTO COSA?) dove davo i numeri di internet e una segmentazione sociodemografica degli utenti, ricorderai anche che puntualizzavo quanto pochi siano gli utenti attivi. Intendevo quello, e ritengo che, a meno che un azienda non voglia interagire solo con gli opinion leader, riterrà che il Web è cosa da poco e che non vale lo sforzo…
Alex
aprile 22, 2010 at 5:38 am
Ok, come avevo intuito allora.
aprile 22, 2010 at 1:19 PM
@Alessandro: Prseumo di si. Non mi dispiacerebbe un tuo commento sul mio postulato… 😉
Alex
Maggio 5, 2010 at 6:04 am
Ciao, Gianluigi, sara’ che ti conosco anche di persona, ma mi sembri uno dei pochi che riflette sui temi veri e quotidiani di chi fa, con ruoli diversi, il nostro lavoro.
Condivido le tue asserzioni soprattutto quando affermi il mostro impegno a non sottrarsi “quando si arriva alla domanda fatidica: quanto costa e quanto ci rende? “.
I nostri interlocutori dovrebbero pero’ anche farsela quando spendono molti più quattrini in canali NON interattivi…
Il problema e’ culturale e formativo insieme. La capacita’ di “ascoltare” e’ inferiore agli strumenti e alle metriche a disposizione. Condividi?
Un buon terzo dei marketer che conosco, pero’, nell’ultimo anno hanno cambiato atteggiamento e attenzione… con buona dose di pragmatismo e lungimiranza insieme. Sono fiducioso …
Maggio 5, 2010 at 7:39 PM
Grazie Leonardo, sicuramente amo parlare di questi temi perché, come ho detto anche su Facebook, è qui che si blocca il business del web 2.0.
Gli esperti di web sono poco concreti, le aziende ascoltano poco, manca un linguaggio comune.
Vedo miglioramenti ma c’è molto da fare, e non è sempre colpa delle aziende troppo “antiche”.
febbraio 3, 2011 at 3:17 PM
Ciao Dario, mi potresti consigliare qualche testo di approfondimento/studio sulle teorie e tecniche del social media marketing? seguo il tuo blog, quindi ho preso spesso spunto dai links che suggerisci ma vorrei testare qualcosa di tecnico. Vorrei chiarirmi un po’ le idee, per la mia societa’, se puntare sul sito o su qualche cosa di alternativo, soprattutto per l’assistenza al cliente. grazie mille