Viviamo nell’era della semplificazione.
Cosa intendo con semplificazione? Sicuramente un aspetto positivo, quello di poter avere alcuni compiti svolti dalla tecnologia per alleviare il nostro lavoro quotidiano e per renderci più efficaci.
Tuttavia, viviamo anche un’altra semplificazione, quella che fa apparire tutte le nuove innovazioni tecnologiche semplici da adottare e, come si dice in gergo tecnico, plug and play ossia pronte all’uso purché si attacchi la spina.
E questa semplificazione diventa ogni giorno più spinta nella narrazione e più lontana dalla realtà.
A voler poi guardare il tema proprio a 360° si potrebbe citare un ulteriore tipo di semplificazione, quella della realtà che viene fatta passare da tempo ormai come totalmente bianca o nera sui social media e perfino nelle notizie più ufficiali, creando quella polarizzazione sociale che è la terza minaccia dei prossimi due anni secondo il Global Risk 2024 Report del World Economic Forum (la prima è la disinformazione…).
Di questa terza parte non intendo parlare oggi, se non per dire velocemente che è sempre più importante un’educazione strutturata all’uso delle nuove tecnologie e della loro interpretazione, come ho già avuto modo di scrivere più volte qui e poi anche qui.
LE TECNOLOGIE PIÙ POTENTI SI PORTANO DIETRO DELLE COMPLESSITÀ
Il tema della complessità mi è sempre piaciuto molto, dal remoto 2005 in cui recensivo uno dei primi libri italiani sul tema passando poi per le considerazioni su l’apparente facilità del mondo digitale (2012) fino ad arrivare all’epoca attuale delle dinamiche dell’Artificial Intelligence e delle altre tecnologie disruptive che caratterizzano i nostri giorni e le organizzazioni moderne.
Il fatto di avere questo approccio mi ha sempre aiutato a provare a guardare oltre alla superficie dei principali trend tecnologici, e a riconoscere che la tecnologia risolve i problemi se viene usata per affrontare le giuste questioni e se c’è l’organizzazione interna e le condizioni adatte a supporto. Viceversa, più sono sofisticati gli strumenti e più essi tireranno fuori in modo impietoso i limiti sui dati disponibili, sulle difficoltà operative, sull’inadeguatezza delle infrastrutture tecnologiche preesistenti e sulla mancanza di obiettivi chiari.
Prendiamo allora ad esempio il tema della agentic Ai, un terriorio affascinante e molto promettente che inizia però a presentare agli utilizzatori dei possibili costi elevati (sì, non è tutto gratis!), anche se i valori sono da controbilanciare con i benefici (vedi il video sotto).
Come ci ricorda Stefano Epifani nel suo podcast, ci sono sempre diversi elementi da valutare tutti assieme ed è in questo che si esplica la complessità delle nuove tecnologie, se si guarda solo un angolo del problema e del vantaggio tipicamente si finisce per avere una visione troppo miope è limitata di quello che è l’intero impatto
Da parte mia, sottolineo poi un altro punto: come dice Forrester nelle sue prediction 2025, le architetture Agentic AI sono una tecnologia emergente e la complessità di costruirle internamente porterà il 75% delle aziende che ci provano a farlo a fallire, mentre quelle di successo si rivolgeranno invece a società di consulenza o utilizzeranno agenti incorporati nel software del fornitore.
Sebbene gli agenti AI offrono un potenziale significativo, la realtà è che l’automazione deterministica continuerà a controllare (nel breve) i processi aziendali principali. GenAI orchestra solo meno dell’1% dei processi principali, poiché le aziende hanno difficoltà a mappare le fonti di dati isolate, sviluppare integrazioni con sistemi chiave e gestire il cambiamento per i dipendenti.
Questo non vuol dire che non ci sia del valore (la stessa Forrester lo dice), anzi, ma occorre essere molto attenti nel capire le proprie possibilità e gestire le aspettative. E il cambiamento.
Gli stessi team che implementano agenti di intelligenza artificiale ammettono di non sapere come gestire il cambiamento che stanno creando. I team di automazione hanno difficoltà con la gestione del cambiamento e ammettono che è una delle sfide più grandi nell’adozione dell’automazione.
In questo, molta differenza la fa la presenza di un vero programma di trasformazione digitale rispetto a una pura attività di digitalizzazione di alcuni processi.
DIGITALIZZAZIONE VS. TRASFORMAZIONE DIGITALE
Digitalizzazione non è la stessa cosa di trasformazione digitale.
Probabilmente lo sapete già, magari invece c’è ancora confusione sui due termini anche in voi.
Come dice Stefano Epifani nel suo podcast (in un’altra puntata, ascoltatelo qui sotto) non bisogna confondere le due cose: mentre la digitalizzazione riguarda la conversione di processi analogici in digitali, la trasformazione digitale implica un cambiamento più profondo, che coinvolge modelli di business, cultura organizzativa e strategie operative.
Perché la cosa dovrebbe avere importanza in un’epoca di artificial intelligence e di altre tecnologie emergenti che stanno cambiando, o almeno promettendo di cambiare, la nostra vita in meglio e comunque sia lo fanno ad una velocità notevole?
Ce lo dice una ricerca globale condotta da Infor intitolata How Possible Happens Filling the “value void” with technology-driven productivity (oltre 3.600 partecipanti, 15 Paesi compresa l’Italia e 7 settori, con partecipazione dai CEO agli utenti di software aziendali): le tecnologie devono essere un trigger per creare valore, non uno scopo.
La ricerca viene ben commentata in dettaglio qui da Laura Zanotti su Digital4, e mi trovo d’accordo sul fatto che la tecnologia deve sposare gli obiettivi di tutta l’organizzazione in ogni sua parte e deve essere profondamente e coerentemente calata nei suoi processi.
In un momento di annunci continui e concitati, io sono sempre convinto che le nuove tecnologie devono essere incorporate in modo fluido in ciò che facciamo già e non possono essere delle risorse stand alone di cui capiamo poco ma su cui riponiamo infinite aspettative che vengono tristemente non confermate se la nostra organizzazione, i nostri dati, la nostra preparazione in generale non sono pronti ad accoglierle.
In questo hanno un grande ruolo e una grande responsabilità coloro che sanno veramente capire il funzionamento delle varie soluzioni e che devono cercare il più possibile anche di attingere a punti di vista esterni che vanno oltre la pura tecnicalità economica e di efficienza e ci aiutano a riflettere sul senso delle cose (qui sotto un esempio).
E queste persone dovrebbero aiutare la leadership aziendale, se non ne fanno già parte, a guidare il cambiamento in modo strutturato e culturalmente accettato.
IL RUOLO DELLA LEADERSHIP NELLA TRASFORMAZIONE
Ci sono almeno due contenuti che vale la pena citare quando si parla di questo tema.
Il primo è un pezzo dell’Harvard Business Review che si intitola senza tanti giri di parole “Employees Won’t Trust AI If They Don’t Trust Their Leaders”.
L’articolo, partendo da una ricerca di PWC e da vari altri contributi interessanti, dice che l’adozione efficace dell’Intelligenza Artificiale nelle organizzazioni dipende fortemente dalla fiducia che i dipendenti ripongono nei loro leader. Per promuovere questa fiducia, i leader devono impegnarsi attivamente con i dipendenti, dimostrando un genuino interesse per il loro benessere e presentando l’IA come uno strumento di empowerment piuttosto che di sostituzione. Un approccio efficace è la combinazione tra leadership e IA, in cui i leader promuovono la alfabetizzazione sull’IA, facilitano discussioni aperte e inquadrano l’IA come un supporto per la crescita professionale.

Come secondo elemento, cito un articolo di Forbes che rivela che oltre un terzo (35%) dei dipendenti acquista personalmente strumenti di intelligenza artificiale (IA) per utilizzarli sul lavoro, indicando il valore percepito dell’IA nell’ambiente professionale. Questo fenomeno è particolarmente evidente nei settori dei servizi finanziari (32%) e della sanità/scienze della vita (23%). L’autore sottolinea che, in assenza di supporto da parte dei dirigenti (e rieccoci al punto sopra), i dipendenti adottano autonomamente l’IA, evidenziando la necessità per le aziende di fornire formazione e risorse adeguate per integrare efficacemente l’IA nelle operazioni aziendali.
A completamento di questo, i citizen developers forniranno il 30% delle app di automazione (o anche di più secondo alcuni) basate su genAI nel 2025 (fonte Forrester) e ciò sottolinea l’importanza di dare potere ai lavoratori al di fuori dell’IT per sfruttare la loro competenza di settore e la loro immaginazione.

Da una parte serve quindi una governance tecnologica illuminata, che permetta di superare il debito tecnico e i suoi impatti sulla trasformazione, aiutando tutti i dipendenti a usare al meglio gli strumenti consentiti evitando quelli invece pericolosi per la sicurezza aziendale. Il tutto con KPI chiari da misurare.
Dall’altra, una forte chiarezza nelle spiegazioni e un linguaggio comune permettono di evitare la paura indiscriminata delle nuove tecnologie, gli entusiasmi immotivati, la creazione di aree aziendali a sé stanti che possono solo amplificare la confusione e creare nuovi silos.
PARLIAMO SEMPRE E SOLO DI AI? NO!
Come scrive Future of Commerce persone, processi e risorse scollegati nelle aziende influiscono negativamente sulle prestazioni aziendali, sulla qualità della produzione, sulle catene di fornitura dinamiche, sullo slancio delle vendite e sulla precisione, con rischi crescenti che incidono costantemente sulle operazioni di manutenzione e assistenza.
Le aziende devono dunque integrare strettamente la pianificazione e l’esecuzione dei servizi nei processi end-to-end, anche a livello inter-organizzativo tramite processi e reti collaborativi.
In termini pratici, devono fare le cose bene e in modo coordinato! Su tutto!
Come dice Peter Druker “la strategia è una commodity e l’execution un’arte” e quindi, citando Tom Peters, “non dimenticate l’execution ragazzi, è l’ultimo importantissimo 95%”.
Questo aspetto è vero per qualsiasi tecnologia digitale che porti un cambiamento, garantendo così una vera differenziazione che gli strumenti “out of the box” possono solo in minima parte garantire.
Le idee chiare le dobbiamo avere noi, il resto è a supporto e non risolve i problemi da solo, come ho scritto altre volte “purtroppo” dovrete farvene una ragione e sentirlo ancora a lungo! In questo mondo dalle infinite opportunità date dal software e dai nuovi hardware partire dalla tecnologia resta sempre un approccio sbagliato e, come sapete, tanto più deleterio quanto più promettente e intrigante è la tecnologia.
Non è un mondo più semplice (almeno finché le cose non sono a regime) ma è sicuramente una realtà ricca di opportunità!








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