Questo pezzo è originariamente apparso su https://www.techeconomy2030.it/ con cui collaboro editorialmente sui temi della digital transformation e della corretta visione dei fenomeni organizzativi ed economici creati della digitalizzazione

L’emergenza della pandemia ha sicuramente scosso in maniera forte molte delle certezze che tutti noi avevamo e ogni giorno ci chiediamo come sarà davvero questa nuova normalità che siamo chiamati a vivere in prima persona.

IL VIRUS E IL FUTURE OF WORK

Che cosa ci ha insegnato però il Covid19 già oggi sul future of work e sulla sua sostenibilità ambientale, sociale ed economica?

Da un lato il Remote Working forzato (qui parlare di Smart working è improprio) ha dimostrato che alcune pratiche ancora difficili da scardinare nelle organizzazioni in realtà possono essere vissute in modo diverso: non è necessario spostarsi sul posto di lavoro ogni giorno, non è necessario essere sempre in presenza, non è necessario viaggiare per ogni riunione, non è necessario farlo tutti nello stesso momento.

Dal punto di vista della sostenibilità ambientale abbiamo anche visto che tutto questo ha migliorato la qualità dell’aria mentre nel frattempo l’assenza forzata degli esseri umani ha ridato spazio alla natura perfino in città [almeno fino a inizio maggio, quando questo articolo è stato scritto].

La natura che si riprende Venezia

Tutto questo però è sostenibile anche dal punto di vista economico e sociale?

Non è così semplice.

Nelle scorse settimane, Forrester ha condotto un’ampia ricerca sulla forza lavoro globale per capire l’impatto che il coronavirus sta avendo sui lavoratori e pur apprezzando il telelavoro (57%) più della metà dei lavoratori italiani (54%) non vede l’ora di tornare in ufficio. Dai dati dell’Osservatorio Smart Working prima dell’emergenza sicuramente queste modalità di lavoro d’altronde non erano ancora mature e diffuse.

Fonte: Osservatori.net

Il 47% degli intervistati da Forrester dichiara invece di non poter lavorare da casa: a pesare su questo ultimo numero, oltre alle professioni che non possono oggettivamente lavorare da remoto, c’è anche una grossa parte di persone che non hanno una connettività domestica adeguata o addirittura non la hanno per nulla, problema che si riverbera anche sulla scuola telematica.

Un tema che l’amministratore delegato di Microsoft Satya Nadella ricorda prima del Corona Virus nel suo libro Hit Refresh dicendo che “bisogna far in modo che l’accesso ad Internet sia globale e alla portata di tutti e su questo punto devono intervenire i governi dei singoli paesi, dimostrando empatia e promuovendo un’economia basata sul miglioramento delle conoscenze”.

Un obiettivo che era già nelle raccomandazioni dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.

EMPATIA ED EMPLOYEE EXPERIENCE

Empatia è un termine che voglio estrapolare dalla citazione di Nadella.

Infatti, ai limiti della sostenibilità economica dovuti a pratiche di lavoro non ancora adeguate e a ritardi nelle infrastrutture, si aggiungono poi gli elementi di sostenibilità sociale e direi anche personale.

Il telelavoro infatti richiede un profondo cambio nella cultura aziendale e del singolo lavoratore, con grande attenzione all’employee experience e alla capacità di comprendere i bisogni reali delle persone, interne ed esterne all’organizzazione, e non solo l’iniezione di nuova tecnologia.

Come ho scritto in febbraio, quando il virus era un problema strettamente cinese e non si poteva immaginare quello che sarebbe successo, il sunto non era diverso: senza obiettivi e strategia la tecnologia non funziona, nemmeno la più potente e strutturata.

Infatti, la tecnologia risolve i problemi se viene usata per affrontare le giuste questioni e se c’è l’organizzazione interna e le condizioni adatte a supporto. Viceversa, più sono sofisticati gli strumenti e più essi tireranno fuori in modo impietoso i limiti sui dati disponibili, sulle difficoltà operative, sull’inadeguatezza delle infrastrutture tecnologiche preesistenti e sulla mancanza di obiettivi chiari

Nello specifico, nel lavoro da remoto e speriamo presto in quello più propriamente smart, serve grande collaborazione e l’economia collaborativa si avvale di una preziosa moneta: la fiducia, che si mostra (con la delega), si sperimenta (con la sua reale attuazione) e si guadagna (con i risultati).

Secondo IDC, entro il 2024, due terzi dei dipendenti delle Global 2000 si sposteranno da ruoli e processi statici e da una cultura gerarchica a team dinamici, multidisciplinari e riconfigurabili, centrati su obiettivi e risultati.

Fonte: Forbes

Coinvolgimento, relazione, comunicazione dovrebbero servire quindi a creare allineamento sugli obiettivi e fare in modo che i dipendenti siano davvero un motore di trasformazione.

Spesso purtroppo nelle grandi organizzazioni gli assunti strategici sono anche ben formulati, ma poi un misto di difesa della propria posizione, inerzia e semplice mancanza di informazione fanno sì che nella declinazione operativa ciascun team si muova con idee e ricerche di risultati propri.

Un rischio che non ci si può permettere in questo momento così delicato.

Chiudo con una citazione che ci ricorda come le tecnologie digitali che oggi diamo per scontate sono nate con un proposito relazionale e sociale:

“Il web è più una creazione sociale che tecnica. L’ho progettato per una funzione sociale, per aiutare le persone a lavorare insieme, non è un trastullo tecnologico.” (Tim Berners Lee)

Quanto sarebbe sarebbe stata ancora più dura questa crisi senza gli strumenti digitali che ci permettono alle persone di collegarsi e interagire a distanza? La risposta è evidente e rende evidente, una volta di più, che la sostenibilità digitale è molto legata al proposito con cui usiamo la tecnologia, che in sé non è né buona né cattiva.

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