Questo pezzo è originariamente apparso su http://www.techeconomy.it/ con cui collaboro editorialmente sui temi della digital transformation e della corretta visione dei fenomeni organizzativi ed economici creati della digitalizzazione.

In un mondo che oggi ci offre una quantità di dati inimmaginabile e talvolta anche non gestibile senza opportuni filtri, potrebbe non sembrare molto attuale la necessità di parlare con le persone per rilevare quali siano le scelte giuste da intraprendere.

In realtà la dimensione sempre più ibrida di fisico e digitale, ad esempio nel retail, porta ad avere assieme due forze fondamentali: la tecnologia e le persone appunto con la loro capacità di relazione, interazione, empatia.

IL CONCETTO DI EMPLOYEE EXPERIENCE

Tutte le aziende ormai parlano di customer experience e cercano di applicare tutte le strategie in loro possesso per migliorare costantemente questo insieme di indicatori da cui dipende parte rilevante del proprio successo.

I gradi di maturità e di reale applicazione che ogni organizzazione si è data differiscono molto, ma quantomeno il tema oggi è nelle agende di tutti.

Lo è poi più o meno fattivamente anche la Digital Transformation.

Anche la soddisfazione del dipendente infine non è certo cosa nuova, ma come afferma Forrester Research “what’s different now is how seriously CX pros are approaching it, investing resources and devoting headcount to the clear purpose of improving the end customer experience”.

Parliamo quindi di experience anche per l’employee che diventa tutt’uno con il ciclo virtuoso della customer experience e quindi del risultato finale sugli obiettivi di business.

CHE COSA VUOL DIRE E COME SI LEGA CON LA DIGITAL TRANSFORMATION

Uno dei grandi trend che hanno segnato gli anni più recenti è stata la consumerizzazione della tecnologia che ha messo nelle mani del privato cittadino strumenti la cui potenza un tempo sarebbe stata riservata solo a contesti ristretti di ricerca o aziendali.

Spesso quindi, il PC personale e ancora di più lo smartphone si ritrovano ad essere, per la maggior parte delle persone, più potenti e più qualitativi di quelli forniti dall’azienda.

Inoltre, questa tecnologia ha spinto sempre di più il concetto di strumenti che si usano senza istruzioni e senza specifico addestramento, tanto che questo genere di esperienza di uso è ciò che ne determina in larga parte il successo o il fallimento insieme al fatto fondamentale che essi rispondano a un bisogno di chi li usa.

Prendiamo ora il nostro employee che, venendo da questo genere di feeling, si trova ad usare gli strumenti aziendali che per ovvi motivi non può scegliere e che gli servono per fare cose legate agli scopi dell’organizzazione.

Gli viene fatto (auspicabilmente) un training e gli si dice che li deve usare.

Niente di errato se non fosse che questi strumenti che servono appunto a soddisfare il bisogno di gestire delle attività aziendali se non costruiti opportunamente corrono due rischi:

  1. essere usati poco e impropriamente
  2. essere addirittura sostituiti nella pratica da oggetti personali, gli smartphone in primis, su cui fare attività in modo alternativo pur di raggiungere lo scopo.

Insomma, dove ciò che non viene fornito non soddisfa il dipendente quest’ultimo trova altre vie, che oggi grazie alla consumerizzazione sono possibili in grande abbondanza ma non sempre portano al risultato aziendale ottimale.

A volte poi questo avviene, ma senza che la buona pratica sia mappata e quindi applicata ovunque.

PERCHÉ DUNQUE PARLIAMO DI ASCOLTO

Non c’è nessuno che sappia come vanno davvero le cose in una mansione di lavoro come chi quella mansione la svolge. Fatto semplice e ignorato, perché soprattutto nelle grandi organizzazioni il pensiero di come le attività vadano fatte nasce dallastrategia centrale (e ci mancherebbe) ma poi spesso questi ragionamenti non vengono verificati rispetto alla reale applicazione nel quotidiano.

Come avviene anche per i clienti, per avere successo le tecnologie che i dipendenti hanno in mano devono riuscire a toccare quella zona di relazione che vede la convergenza tra strumenti, bisogni (in questo caso dell’employee) e obiettivi aziendali.

Fonte: canale SlideShare di Moca Interactive

Metodologie come il design thinking sono dunque una preziosa fonte di rinnovamento dall’interno, e ancora più semplicementeaprire ai feedback delle persone e guardare come esse lavorano nel quotidiano può cambiare radicalmente il successo delle proprie iniziative.

Tanto più che a volte le soluzioni sono semplici ma non possono essere viste se non quando si opera nel vivo.

Ho scritto qualche tempo fa che oggi per avere successo bisogna innamorarsi delle persone e non delle proprie idee e questo mi sembra che sia un esempio lampante che si lega anche ai risultati finali di business.

GIÀ, I RISULTATI E I DATI

I dati quindi sono una grande illusione consulenziale e invece serve solo tanta empatia?

Non è nemmeno questa la verità, e cito nuovamente Forrester che dice “Good faith is not enough to improve the employee experience. CX pros must invest in EX initiatives that produce traceable gains in CX quality, operational performance, and commercial outcomes — or expend effort on something else”.

Come ho detto all’inizio di tutto il discorso, è la combinazione di persone e strumenti che fa la differenza e la quantificazione del dato serve sia a dare ragione di come le cose stanno andando avanti (guardatevi dalle opinioni senza supporto) sia a trovare dei punti di caduta che le persone o non evidenziano o non sanno percepire nel flusso dell’esperienza.

La tecnologia c’è, le metodologie anche, quello che è davvero importante è cambiare il mindset, e sappiamo come è difficile, ma quando si comincia sarà difficile tornare indietro.