Ormai gli appuntamenti con Scott Brinker e Frans Riemersma sono un punto fermo della community della Martech, e non fa eccezione quello di questo dicembre, dal titolo Martech for 2025.
Per questo ho citato spesso qui sul mio blog e sul mio canale Telegram le ricerche e i webinar di questo prolifico duo e anche stavolta non posso che raccomandare il report gratuito di 108 pagine che è stato presentato nell’occasione.
Io ne prendo alcuni contenuti per fare un discorso su alcuni temi che vanno oltre la “sola” Marketing Technology.
NON POTEVA MANCARE LA AI, E PER FORTUNA E’ (SPESSO) INTEGRATA
Le piattaforme martech esistenti stanno integrando nuove capacità di IA, mentre emergono numerosi strumenti martech nativi dell’IA, specializzati in produzione di contenuti, analisi dei dati e automazione.
La combinazione delle due tipologie fa sì che il panorama martech non smetta di crescere, per il 13° anno consecutivo, e attualmente sono censiti nel 2024 un totale di 14.106 prodotti tecnologici di marketing: un’aggiunta netta di 3.068 prodotti rispetto agli 11.038 del 2023, ben +27,8% su base annua!

Dal primo landscape del 2011 il tasso di crescita annuale composto (CAGR) è del 41,8%.
Davvero tanto, anche se per mettere questo in prospettiva, oggi ci sono già 1,8 milioni, esatto milioni, di progetti AI su GitHub (fonte: 2024 AI Index Report)!
Sono soprattutto le nuove piattaforme specializzate e native AI a creare un numero particolarmente rilevante di soluzioni nella coda lunga.

Quella che viene definita “intelligenza artificiale incorporata” nei prodotti e nelle piattaforme più note e che funziona negli strumenti e nei flussi di lavoro esistente già in atto è numericamente molto inferiore all’ondata di migliaia di nuovi prodotti martech nativi AI che tendono a specializzarsi in una cosa, o in poche cose, principalmente nella produzione di contenuti, nell’analisi dei dati, nella produttività personale o nella semplice automazione degli agenti AI (il report analizza comunque oltre 50 casi d’uso dell’IA nel marketing).
La maggior parte di questi strumenti, per fortuna, sono complementari alle piattaforme esistenti e fanno parte dei loro marketplace.
Sapete infatti che sostengo da tempo il punto è che una app standalone che fa una sola cosa è sicuramente utile ma non ha ancora quel senso intrinseco per i clienti tale da diventare un’abitudine quotidiana.
Siamo solo all’inizio, è vero, ma la strada giusta, secondo me, è quella che unisce i puntini e usa la Ai generativa dentro altri prodotti, cosa certo non nuova per la AI non generativa, offrendo grandi grandi benefici sulla produttività.
E’ probabile che quindi vedremo ancora delle evoluzioni nella costruzione degli ecosistemi, che ad oggi sono così efficacemente rappresentati nel report Martech for 2025.

Il software di mercato però è solo una parte dell’equazione.
IL LOW CODE E NO CODE STA CAMBIANDO IL RAPPORTO CON IL SOFTWARE
Ho già parlato dei Citizen Developer, persone non appartenenti ai dipartimenti tecnologici aziendali “ufficiali” e che, pur non avendo un background nella programmazione software, riescono a sviluppare programmi con le tecnologie low code e no code.
Fino all’avvento così esteso della AI generativa questi restavano (e restano) per lo più utenti esperti mentre l’intelligenza artificiale ci ha ora spinto ulteriormente lungo la curva dell’accesso alla tecnologia rendendo possibile a qualsiasi persona comune di creare un “programma software” facendo una serie di richieste di linguaggio naturale a un agente di intelligenza artificiale. In effetti, è chiaro che sempre più di questi programmi saranno creati in modo ambientale/automatico in background senza che un utente riconosca anche esplicitamente che un atto di creazione ha avuto luogo per loro conto.

Esatto, gli agenti di intelligenza artificiale ormai creano micro programmi software “on the fly”, spesso senza che la persona che chiede una soluzione sia nemmeno consapevole del fatto che un programma software è stato scritto ed eseguito per proprio conto.
Cito un esempio del report: “ho chiesto a ChatGPT di creare per me un grafico dei dati del mercato azionario. Ha eseguito il tutto in pochi secondi. Tuttavia, quando ho cliccato sulla piccola icona per vedere esattamente come aveva creato quel grafico, mi ha mostrato che aveva scritto un programma Python e lo aveva eseguito per mio conto. Non gli ho chiesto di scrivere un programma software. Se non avessi cliccato per ottenere maggiori dettagli sul grafico, non avrei nemmeno saputo che era stato scritto o eseguito un programma Python. Ma era stato eseguito”.
Il rapporto 2024 Work Automation & AI Index di Workato, un’azienda leader nel settore dell’automazione aziendale che fornisce una piattaforma low-code/no-code (LCNC), basato su 36 mesi di osservazione su 1.055 clienti della loro piattaforma con oltre 82.000 automazioni censite, riporta che già ora il 44% di tutti i processi automatizzati sono realizzati al di fuori dell’IT!
Non è la fine del software commerciale ma sicuramente si introducono qui nuovi trend.

E’ probabile che quindi la coda lunga di cui parlavamo poco sopra a proposito delle soluzioni AI specializzate sia molto meno lunga di tutto questo software creato, più o meno consapevolmente dagli utilizzatori finali. E non certo solo nella Martech.

Tutto questo è affascinante ma apre delle tematiche non banali nella gestione.
NUOVI PARADIGMI (E NUOVE COMPLESSITÀ) NEI MODELLI DI BUSINESS
Negli anni siamo passati da software scritto ad hoc a strumenti di mercato, che poi dall’installazione on premise si sono spostati sul cloud e sono diventati “as a service”.
Si affaccia ora dal report un nuovo modello di “service-as-a-software”, un gioco di parole intelligente sull’acronimo SaaS. Invece di pagare per postazioni o utilizzo di elaborazione/archiviazione, dove spetta all’acquirente utilizzare con successo quegli strumenti per ottenere i risultati desiderati, viene offerta una nuova generazione di agenti AI su base costo-per-risultato.

Brinker e Riemersma hanno sostenuto per molti anni la fusione di software e servizi per aiutare al meglio i marketer a raggiungere i loro obiettivi. Questa generazione emergente di offerte di servizi come software è un modello promettente per realizzarlo.
Si deve però fare i conti con i cambiamenti che sempre accadono quando cambia un modello, e sotto sono riassunti alcuni dei principali.

Uno di questi è il costo. Già con le soluzioni a consumo del software as a service fare previsioni di spesa è difficilissimo e i vendor hanno complicato in modo drammatico il numero di parametri e criteri che vanno a formare il prezzo.
Se già è dura calcolare correttamente queste metriche e gestire i relativi costi variabili non posso immaginare che sia più facile farlo con gli obiettivi e gli outcomes, anche se almeno questo introduce uno sforzo psicologico di lavorare in modo chiaro e definito su che cosa vogliamo ottenere.
Da un lato quindi bisognerà lavorare all’interno delle organizzazioni dall’altra bisognerà discutere, concordare e, a volte, anche imporre dei meccanismi ai vendor per rendere l’adozione sostenibile economicamente (affatto facile oggi, per essere franchi).
E questo ci porta all’ultima parte delle sfide.
LA SFIDA DELLA GOVERNANCE
Gli agenti AI sono sono la fase successiva della democratizzazione dello sviluppo del software, e aprono grandi opportunità e creano nuove sfide nella governance della tecnologia aziendale.
La gestione dei costi appena menzionata sopra è di sicuro un altro di questi elementi.
E non parliamo poi del tema dell’educazione all’uso degli strumenti, in ottica individuale ma anche aziendale.
Ho parlato per anni e in diverse edizioni di governance della tecnologia, l’ultima volta qui quest’anno, ed elencato un po’ di principi che sono sempre molto attuali, visto che la chiave non è più nella “ownership” intesa in senso ossessivo ma nello stabilire dei meccanismi per mantenere ordine senza ingessare.
Chief Digital Officer, CIO, o altro ancora, il nome è relativo, ciò che conta è il contenuto e anche i ruoli di trasformazione più che inutili diverranno invisibili, perché chi si occupa oggi di queste cose guida un processo che appare ormai (quasi) naturale ma che deve essere continuamente evoluto, facilitando e umanizzando la tecnologia.
Devono essere capaci di comunicare, spesso un limite nei CIO più tradizionali, ed avere un ruolo di facilitatore delle connessioni interne, qualcosa di più simile al Chief Connection Officer di Gartner ma con un forte focus sul modo di lavorare.
Come dicevo qualche tempo fa a proposito di Chief Metaverse e Chief AI Officer, quando si fa innovazione molto spesso ci si dimentica la domanda più semplice, ossia il perché stiamo facendo una certa scelta, da cui deriva poi in modo sano il come si applicano le cose, evitando il mero copy and paste e l’effetto “bambino nel negozio dei dolci” dove si vorrebbe prendere tutto quello che si vede sullo scaffale della tecnologia.
Di certo in questo momento con tutte queste sollecitazioni mediatiche non è facile, ma proprio per questo servono professionalità all’interno delle organizzazioni che aiutino a pilotare in modo discreto ma solido questo cambiamento.
Come sempre serve consapevolezza, la tecnologia non è buona o cattiva ma se usata male fa danni…








Lascia un commento