Vi ricordate il mio post su di un caso italiano di errata gestione della reputazione online che aveva causato consenguenze negative simili al celebre episodio americano di Kryptonite?

Ebbene qualche giorno fa ho letto una storia analoga sul blog di Vincenzo Cosenza, riguardante il marchio John Ashfield, il che mi dà lo spunto per riprendere questo tema su cui insistere fa sempre bene.

I fatti, di cui il blog riporta ampiamente i dettagli, sono sostanzialmente i soliti: una persona fa un commento negativo sul proprio blog, il titolare dell’azienda lo trova e reagisce con durezza inviando all’interessata (si tratta di una donna) una lettera dai toni aggressivi e, in parte, offensivi. A parziale aggravante WordPress, che ospita il blog, prima lo oscura per qualche giorno e poi lo rende visibile senza il post incriminato (e qui torniamo al solito problema di chi controlla il web in caso di controversie, ma è un’altra storia).

Anche in questo caso il risultato è quello consueto: la vicenda trova un eco notevole nella blogsfera e l’immagine dell’azienda non ne esce certo in modo positivo.

Preciso subito che io credo che non si possa condannare a priori la persona che ha scritto tale lettera, è assolutamente comprensibile che a fronte di accuse (magari anche non giustificate) al proprio lavoro ci sia una reazione emotiva e anche un legittimo desiderio di tutelarsi.

Il problema però è il modo con cui le aziende ancora oggi affrontano il tema della reputazione online, ne ho già parlato in passato e riepilogo e integro qui alcuni aspetti salienti di un corretto approccio:

a) Non intervenire a tutti i costi, se è una critica non troppo aggressiva, in una fonte poco nota e se, dopo qualche giorno, non genera strascichi è meglio non essere ossessivi.

b) Se si rende necessario intervenire è bene farlo senza attaccare brutalmente ma spiegando le proprie ragioni in modo trasparente, possibilmente rispondendo allo stesso post. Dichiarare sempre la propria identità, meglio se con il ruolo aziendale, mai cercare di fingersi un altro utente comune.

c) Solo se la cosa si allarga molto si possono acquistare degli annunci pay per click con le parole/argomenti incriminati, per far sì che sui motori di ricerca nel breve periodo non compaiano solo i commenti negativi su di voi

d) In tutti i casi (compreso il punto a) bisogna tempestivamente prevedere delle pagine sull’argomento sul proprio sito, in modo che esse siano disponibili per gli interessati e siano indicizzate. Infatti anche dopo mesi, quando la protesta è passata, restano reperiti dai motori i risultati negativi e se non ci sono i nostri argomenti di risposta lasciamo di fatto la parola agli avversari.

Ribadisco, non è che in rete chiunque può permettersi di dire tutto senza mai alcuna conseguenza, però il modo di reagire non deve essere emotivo e aggressivo ma dialogico, in questo modo si possono far valere le proprie ragioni davanti alla blogosfera, se poi i problemi continuano e il danno si fa evidente nessuno potrà biasimare il ricorso alle vie legali. Ma il più delle volte non servirà…

Avete altri casi da raccontare in merito?