Digital Disruption: Unleashing the Next Wave of Innovation è un libro di James McQuivey uscito nel 2013 ma che è quanto mai attuale, specie per il contesto italiano.

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Il tema è di grande moda, e quindi piuttosto abusato, la digital disruption, che l’autore sottolinea essere qualcosa che viene reso possibile dai digital tool ma che poi si ripercuote sui tutti i mercati, portando nuovi competitor alle aziende, quasi sempre da settori e direzioni impreviste e anomale rispetto agli schemi tradizionali.

Il cambiamento sta nella testa delle persone

La grande sfida in questo scenario non è tanto avere una nuova tecnologia in mano quanto piuttosto cambiare il proprio mindset (capitolo 2): come dice McQuivey “i disruptor, equipaggiati con la giusta mentalità, vedono in modo naturale la tecnologia in una luce nuova, il che permette loro di risolvere vecchi problemi in modo diverso con una velocità molto superiore”.

Sono le due le cose che mi sono piaciute particolarmente in questa parte del libro: la prima è il focus sui bisogni dei clienti, che sono da sempre il motore del marketing ma che talvolta oggi vengono un po’ lasciati in disparte a dispetto della tante affermazioni sull’azienda customer centric.
La seconda è un concetto di innovazione incrementale (adjacent innovation) che consiste nello sfruttare gli strumenti che già esistono e li lega fra loro per migliorare il proprio prodotto o servizio. Ne ho parlato pochi giorni fa e questo concetto è poco compreso quando si discute di innovazione, pensando per forza all’invenzione di qualcosa di totalmente nuovo.

Un nuovo scenario

Un altro aspetto importante dei tool digitali che stanno rendendo possibile questo mutamento è il loro essere spesso gratuiti o quasi (capitolo 3), secondo il modello di freemium illustrato qualche anno fa da Chris Anderson e citato anche nel libro che distingue tra totally free, nearly free ed essentially free. Questa grande disponibilità apre ovviamente infinite opportunità a chi sta cercando nuove soluzioni ai propri problemi.

I disruptor secondo l’autore non sono necessariamente quelli che creano le grande piattaforme digitali su cui le loro innovazioni poi gireranno ma piuttosto sono coloro che ne fanno un uso vincente (capitolo 4). Grazie però alle piattaforme si può avere un accesso continuo e privilegiato al feedback del cliente che deve essere continuamente misurato per creare un flusso iterativo di sviluppi che poi possono essere subito testati e ri-misurati, per migliorare continuamente.

Nel capitolo 5 l’autore riprende e sviluppa il tema di need del customer e di come essi guidino il prodotto, mentre nel numero 6 si torna a parlare di come innovare piu velocemente ragionando di adjacent innovation, con tra gli esempi il caso Jawbone, dove vengono messe a fattore comune tante soluzioni presenti sul mercato collegandole fra loro per rispondere ai bisogni dei clienti.

Infine nel capitolo 8 viene descritto come fare un assessment della propria predisposizione alla digital disruption, nel numero 9 viene spiegato in dettaglio come costruire un percorso verso il nuovo modello mentre nel 10 si guarda al prossimo futuro e ai suoi scenari.

Per chi consiglio questa lettura

A mio giudizio il pregio di questo libro è di sistematizzare una serie di concetti che sono ormai delle buzzword ma che poi nella realtà sono oggetto di grande confusione.La tecnologia è ciò che apre le opportunità ma ancora una volta è il modo in cui si leggono e usano che fa la differenza. 

Consiglio quindi la lettura a tutti, per comprendere un fenomeno che è già realtà ma che è oggetto di grandi fraintendimenti e luoghi comuni.