Lo diceva già la tesi numero 86 del Cluetrain Manifesto più di 12 anni fa: “Quando non siamo occupati a fare il vostro “mercato target”, molti di noi sono le vostre persone. Preferiamo chiacchierare online con gli amici che guardare l’orologio. Questo farebbe conoscere il vostro nome molto di più del vostro sito internet da un milione di dollari. Ma siete voi a dirci che è la Divisione Marketing che deve parlare al mercato”. Vi faccio notare che ciò è stato scritto ben prima della comparsa di Facebook e del social web.

immagine tratta da http://employerbranding.blogspot.com

I nuovi mezzi di comunicazione sono fatti di  persone. Anche le aziende sono fatte di persone. Eppure questa sorprendente somiglianza sfugge spesso all’occhio attento delle organizzazioni, che non riescono a immaginare i propri dipendenti come ambasciatori.

Certo, gli ostacoli culturali e pratici al coinvolgimento delle persone che lavorano per l’azienda non sono pochi:

1) culturali, i più ovvi, dettati dalla paura che informazioni riservate trapelino o che, più banalmente, le persone siano distratte dalle loro mansioni

2) di comunicazione interna, nelle grandi organizzazioni spesso le funzioni non deputate al marketing e alla comunicazione ignorano le attività rivolte al cliente finale

3) collegato al precedente, poche grandi aziende italiane hanno spazi di condivisione interdivisionale/interfunzionale, dove ci possa essere un confronto interno su iniziative e strategie di base.

É comprensibile dunque la prudenza e la diffidenza da parte dei vertici aziendali. Il punto però è che questa cautela di sicuro non impedisce alle nostre persone di interagire in privato con altri individui sui temi che riguardano l’organizzazione.
Proprio come l’assenza dai social di un’azienda non impedisce certo ai navigatori di  parlarne, bene o male che sia.
Il fatto che questo dialogo avvenga senza idee chiare, con un visione limitata o addirittura con nozioni sbagliate non è un certo un tema di poco conto.Inoltre la scarsa confidenza ed educazione ai social fa sì che spesso le nostre persone stesse siano critiche con il marchio su spazi come le pagine Facebook ufficiali, non comprendendo che stanno operando in un contesto pubblico, in modo controproducente per loro e per l’azienda.Posto che dunque tutte le preoccupazioni lecite dell’HR si possono realizzare ugualmente, è forse più utile affrontare la questione, creando:

A) meccanismi di informazione puntale e coinvolgente ai dipendenti, rendendoli partecipi di tutte quelle attività che saranno comunque rese pubbliche (nei limiti della sicurezza), con tutti i dettagli corretti

B) spazi interni di partecipazione, scambio di informazioni e coinvolgimento fra le diverse funzioni

C) un clima favorevole allo scambio di informazioni, per far sì che le persone non le custodiscano come fonte di potere personale perché condividendole ne traggono più vantaggio.

Infine la tematica del tempo perso, se ben governata, non dovrebbe essere così focale, tanto più che gli smartphone di fatto aggirano in qualsiasi momento i blocchi delle reti aziendali, ma una persona ingaggiata potrà condividere anche da casa le attività interessanti della propria impresa se proverà soddisfazione nel farne parte.

Di certo la proattività sarà raggiungibile su pochi soggetti, ma questo non implica che grazie alla loro azione e alla vostra non vi siano effetti positivi su tutti gli altri, come in ogni ambito social.

E non sareste soddisfatti ugualmente se le vostre persone all’occasione rispondessero, in modo corretto, a domande di altri individui nei propri ambiti social di riferimento dove vostro occhio non può arrivare?
Sembra una banalità ma su simili livelli di ingaggio aziende importanti hanno costruito, con i clienti, dei modelli di successo che potrebbero ora essere replicati con le proprie persone.