Le nuove tecnologie e l’approccio partecipativo del social web hanno sicuramente ridisegnato in modo vistoso abitudini e logiche della comunicazione tradizionale.
In particolare alcuni fenomeni, come il crowdsourcing e lo user generated content (ed advertising) hanno scatenato negli ultimi sei mesi frequenti discussioni e polemiche tra aziende, agenzie e il mondo della rete.
Prendiamo ad esempio il crowdsourcing per quanto riguarda la creatività, impersonato in modo diverso dai due grandi player Zooppa e BootB: le agenzie tradizionali spesso si sono scagliate contro di loro, accusandoli di essere solo fonte di impoverimento della qualità, oltre che un mero modo per risparmiare.
Io posso dire per esperienza diretta che le cose sono più sfumate: è certo che in questi progetti c’è minore livello di consulenza e l’azienda è sola a giudicare, magari senza averne i mezzi, un’infinità di lavori di livello eterogeneo. E’ anche pur vero però che la ricchezza e quantità di spunti che un contest di questo tipo può dare non è assolutamente riproducibile dall’agenzia.
L’errore dunque secondo me è nella contrapposizione netta e ostile fra la creatività che si attribuisce la c maiuscola e presunti amatori, mentre io ritengo che il ruolo consulenziale e di guida strategica nel tempo che può avere un’agenzia posso trovare valore anche nell’affiancarsi talvolta a nuove forme di apertura con l’esterno.
Insomma una guida ci vuole nel medio e lungo periodo, ma quest’ultima deve essere aperta e non solo impegnata a difendere la propria posizione, è vero che non sempre la collaborazione è possibile ma l’ostilità preconcetta è molto pericolosa.
Lo stesso ragionamento si può applicare all’attività di social media marketing: da un lato io trovo che l’azienda non possa delegarla in toto all’esterno, perché è un aspetto che deve essere seguito da persone che vivano in diretta quanto poi rilanciano all’esterno.
Questo però non vuol dire che una realtà esterna, competente, non possa seguire il percorso strategico scegliendo obiettivi e tecnologie ed aiutando la crescita del personale interno.
Non a caso l’attività fai da te sul social web, fatta fare magari allo stagista perché tanto “è tutto gratis”, è sempre destinata al fallimento.
In conclusione dunque non vedo nelle nuove tendenze della comunicazione un rischio per i professionisti del settore, a patto che siano competenti, aperti e dotati della giusta mentalità, per farsi capire e apprezzare adeguatamente dalle aziende che danno loro lavoro.
Voi che ne pensate? C’è una contrapposizione reale e duratura o solo una momentanea mancanza di dialogo tra due mondi molto vicini e intersecabili?
agosto 3, 2010 at 5:12 PM
Sono abbastanza d’accordo con ciò che scrivi: rilevo anche che le aziende dovrebbero prima trovare un’agenzia, un vero partner, non una o centomila idee, campagne o simil cose, che sono più o meno tutti capaci di avere. Può esserci sinergia (azienda-agenzia-crowdsourcing) quando le aziende capiranno fino in fondo di quanto può essere utile per il loro buisness l’apporto strategico di una “vera” agenzia di comunicazione.
Seguo sempre con interesse il tuo blog.(P.S. sono di parte perché ho una mini-agenzia!). Buone vacanze.
Ugo Gaspardone
agosto 23, 2010 at 1:33 PM
Ciao Ugo, grazie per il commento, per i complimenti e per gli auguri di buone vacanze (che con oggi finiscono)! 🙂
agosto 23, 2010 at 11:44 PM
Ciao, un altro buon sito di crowdsourcing per la creatività è iamasource.com.
IamaSource ha infatti deciso di essere primo cliente di se stesso offrendo al miglior designer ben 2500 euro per il proprio logo!