Il canto del significato Un manifesto per i team e i loro leader per ripensare il modo in cui pensiamo al business è un libro di Seth Godin uscito in edizione italiana nel 2023 per ROI Edizioni.
“Questo è un breve libro che parla di un bivio, di una decisione che tutti noi dobbiamo prendere. Ciascuno può farlo a modo suo, ma la scelta è la stessa: essere leader, creare un lavoro che conta, trovare la magia che si sprigiona quando siamo così fortunati da creare insieme a persone che ci tengono. Possiamo fare bene e fare meglio al tempo stesso. A dire la verità, è l’unico modo utile per andare avanti.“
Il volume si apre con questa promessa, unita alla considerazione che l’era del capitalismo industriale è al tramonto, le aziende che tengono il profitto e l’aumento della produzione come unica stella polare sono destinate a rimanere retaggi del passato e a scomparire, mentre prospereranno quelle che si pongono al servizio delle persone, dando loro ciò che vogliono.
Uno statement forte!
Il libro è fatto dai classici brevi paragrafi delle altre opere di Godin ed è piuttosto denso di dettagli ed esempi, che ruotano attorno al nucleo fondamentale espresso sopra, per cui per comprendere a pieno il messaggio occorre la lettura.
Ci sono alcuni concetti che però vale la pena di sottolineare.
LEADERSHIP VS. MANAGEMENT
Il primo è quello che differenzia management e leadership: i manager cercano l’obbedienza. Un manager fa profitti grazie al progresso industriale e alla produttività, che si ottiene facendo quello che facevamo ieri, un po’ più velocemente e a costo minore.
Il leader cerca di creare le condizioni affinché le persone facciano accadere il cambiamento. I leader non hanno bisogno dell’autorità, però devono coordinare la fiducia, il focus e la connessione delle persone coinvolte in un percorso volto a svolgere un lavoro che conta.
Di questo tema avevo parlato subito prima della Pandemia ribadendo l’importanza della comunicazione interna e del coinvolgimento delle persone per realizzare progetti utili e, di conseguenza, anche di successo. Avevo poi descritto il CDO provocatoriamente come un “Chief Disappering Officer”, un executive con forti competenze tecnologiche ma anche un approccio che parte delle persone e dalla strategia che in qualche modo lavora per rendersi in futuro “inutile” (è ovviamente una provocazione, chiamiamolo come volete ma un facilitatore e umanizzatore della tecnologia ha abbastanza materiale per divertirsi per anni e non essere un “disappering officer”)!

Tutto questo in un’era di hybrid work è assolutamente vitale, per molte professioni pensare di tornare al modello di controllo “visivo” del dipendente sempre in ufficio è piuttosto impensabile, in più le ricerche dicono che di per sé il dipendente che lavora da remoto non è meno ingaggiato e non è meno produttivo; insomma il vero tema è che lo shock della pandemia ha accelerato brutalmente tutte le storture della gestione delle persone che già covavano come disagio da anni.
Come dice Godin, probabilmente già da tempo andiamo al lavoro con sogni, energie ed entusiasmo ma torniamo a casa ogni giorno un po’ più svuotati. Portiamo con noi passione ed entusiasmo, ma sembrano sprecati. E per lui, la risposta è quella di creare le condizioni per il cambiamento, coinvolgere le persone in un percorso che crea connessioni, dignità e possibilità. La leadership è una competenza e un’arte, e può essere appresa (anche nel mondo della tecnologia, per inciso).
LE SOFT SKILL SONO DAVVERO “SOFT”?
La sezione del libro dedicata alle competenze inizia con queste parole: “se un dipendente della vostra organizzazione si portasse a casa un portatile nuovo di zecca ogni giorno, lo fareste arrestare o quantomeno lo licenziereste. Se il vostro contabile sottraesse denaro tutti i mesi, fareste la stessa cosa.
Ma quando un dipendente demoralizza l’intera squadra minando un progetto, o quando un membro del team si tira indietro e non dà il suo contributo, o quando un prepotente spinge persone con un futuro brillante ad andarsene dall’azienda… troppo spesso alziamo le spalle e sottolineiamo che questa persona è assunta a tempo indeterminato, o possiede abilità vocazionali importanti o che in fondo non è poi così male.
Però ci sta derubando. La chiave qui è il “noi”.
Non sta derubando il capo, né l’azienda. Sta derubando noi, tutti insieme”.
Quelle che tradizionalmente vengono chiamate hard skill e che nel libro sono definite abilità vocazionali possono essere insegnate: nessuno nasce automaticamente con una professione, perciò devono essere cose che possiamo insegnare.
Infatti, queste competenze sono oggetto di adeguati training accademici e professionali, mentre nel caso delle soft skill, che pure sono sempre più spesso evidenziate come fondamentali, le persone sono di solito lasciate a se stesse: Godin scrive che “non investiamo a sufficienza in questa formazione, temendo che tali caratteristiche siano innate e non possano essere insegnate. Forse sono dei talenti. E così le sminuiamo, chiamandole “soft skill”, il che ci rende più facile passare a qualcosa di apparentemente più urgente”.
Ancora, “in proporzione, le organizzazioni prestano meno attenzione alle soft skill quando assumono perché ci siamo convinti che le abilità vocazionali siano impersonali e più facili da misurare. Essendo più facili da testare, tendiamo a dar loro maggior importanza quando selezioniamo il nostro team.
E licenziamo con riluttanza (e di rado offriamo formazione) quando tali competenze mancano, perché abbiamo paura di pestare piedi, di essere rimproverati perché la mettiamo sul personale o di sprecare tempo dietro a una causa persa.
Ma queste competenze possono essere apprese, al pari di abilità ovvie come gli scacchi o la dattilografia. Le impariamo per caso, per osmosi, dagli scontri con insegnanti, genitori, capi e con il mondo. Anche se sono più difficili da misurare, non significa che non possiamo migliorarle”.
In realtà, sono queste le vere competenze di leadership e l’autore per questo dice di smettere di chiamarle “soft” e di definirle con il termine scomodo di competenze reali. Reali perché funzionano, perché sono al centro di ciò di cui abbiamo bisogno oggi e perché, “anche se avete le abilità vocazionali, non siete di alcun aiuto senza le competenze umane”.
Non posso che essere d’accordo, e lo trovo perfino più urgente nei leader tecnologici che hanno (auspicabilmente 🙂) delle forti competenze vocazionali ma devono diventare persone di relazione, capaci di ascolto e brave a comunicare, dotate di digital fluency (e no, non sono temi nuovi, vi prego di fare caso alle date in particolare dei primi due link).
UN ALTRO SPUNTO FRA I TANTI: LE RIUNIONI COME SINTOMO
Dopo la pandemia, le riunioni in presenza sono come il caviale, rare e preziose. Eppure le sprechiamo.
La comunicazione asincrona è diffusa e pervasiva (con tutti i limiti del caso), ci sono mille sistemi di video call e connessioni e potenziali strumenti di dialogo sono ovunque ma, secondo Godin, il management industriale non è particolarmente incline al dialogo perché “le conversazioni sono difficili da controllare e pianificare. E, per funzionare bene, hanno bisogno di un livello di parità e connessione che mina la gerarchia dei capi che impartiscono istruzioni”.
Ecco perché le organizzazioni industriali preferiscono le riunioni, viste come lezioni frontali con qualche momento per domande.
Non vi racconto lo sviluppo di questo ragionamento per non togliervi il gusto della lettura, tuttavia in un mondo che si interroga spesso sul senso e sulla modalità dei meeting credo che guardare al mondo in cui essi si svolgono nella vostra organizzazione sia molto interessante per capire lo stato delle cose.
IN CONCLUSIONE
Le recensioni a mio avviso devono creare l’interesse per la lettura di un libro, e non sostituirla. Per questo, vi posso dire che sicuramente ciascun lettore potrà trovare altri dei molti spunti presenti nel testo molto più rilevanti di questi.
Dal mio punto di vista, ho trovato questo volume interessante per riflettere e sistematizzare alcuni concetti che avevo già in testa.
Ne consiglio la lettura perché molti dei temi che contiene riguardano il senso ultimo del nostro lavoro e della nostra soddisfazione, in un’epoca di grandi cambiamenti indotti dalla Ai, che promette di eliminare dei compiti alienanti ma pone al contempo delle domande sull’occupazione e su alcuni risvolti che vanno monitorati per non peggiorare i limiti attuali della diversity and inclusion.
Credo sia fondamentale per tutti riflettere su questi aspetti, a qualsiasi livello gerarchico e a prescindere che si concordi in parte o in tutto con Godin.
Lo scossone drammatico della pandemia e la sua accelerazione di fenomeni già in corso non deve passare invano.








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