Il mondo del sociale in Italia è storicamente molto forte grazie all’importante impegno di tanti volontari e a un tessuto sociale coeso nonostante tutto, ma nella sua accezione di raccolta fondi per il sostegno delle cause la percezione si fa più sfumata e le opinioni diverse.

Ho scambiato dunque qualche battuta in merito al fundraising con il CEO di Atlantis Company Francesco Quistelli, in occasione del primo anno di vita della sua realtà che si occupa di affiancare le associazioni in ambiti che vanno dalle attività di assessment, data analisys e pianificazione strategica di fundraising, a quelle di corporate fundraising e grant scouting, major donor e lasciti, fino alla realizzazione di campagne SMS solidale e di sensibilizzazione.

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Parliamo di fundraising, ci racconteresti in poche parole di che cosa si tratta per chi non lo conosce?

Ci sono molti modi di rispondere a questa domanda. Sicuramente il fundraising non è solo raccolta fondi; è una questione di cuore. “To raise”, infatti, in inglese, significa anche crescere, coltivare. Il fundraising riguarda la sostenibilità di una causa sociale.

Da quanti anni lavori nel campo del fundraising e da dove nasce l’amore per questa professione?

La mia esperienza è iniziata nel 2001, 15 anni di lavoro intenso fatti di sfide, soddisfazioni, studio ma anche di sconfitte e di errori dai quali ripartire e crescere. Sicuramente è stato un “amore reciproco”; sono rimasto affascinato da questa professione che è un perfetto connubio tra impegno sociale e tecniche di marketing e comunicazione.

Come giudichi la maturità del fundraising in Italia? E quanto incide sul settore la trasformazione digitale in corso?

Dopo anni di crisi economica che hanno colpito anche il mondo della raccolta fondi sembra poter cominciare un periodo di ripresa, con effetti positivi anche sulle donazioni e il terzo settore. Sarebbe davvero importante che questa tendenza diventasse realtà, vista la costante diminuzione di risorse pubbliche e la contemporanea imprescindibile necessità di rendere sostenibile il sistema nonprofit italiano, per il bene della nostra società. Certamente il digitale ha inciso molto sul fundraising, “colpendo” nuovi potenziali donatori con costi più bassi e sviluppando un forte impatto emotivo grazie ai canali web e ai social.

Dopo tanti anni all’interno di organizzazioni non profit, perché hai deciso di fondare Atlantis Company?

Atlantis è un mio sogno da sempre, una grande sfida che io, insieme al mio team, portiamo avanti a piccoli passi, giorno dopo giorno.
Crediamo che la solidarietà, il privato sociale, il terzo settore esprimano uno dei momenti più alti e importanti per il presente e il futuro della nostra società. Le organizzazioni nonprofit contribuiscono ogni giorno a rispondere ai bisogni della comunità e a sostenere le persone più deboli, vicine e lontane. Rendere sostenibile la loro missione è un impegno sempre più fondamentale e indispensabile per tutti. Ecco perché nasce Atlantis, per dare a questi pensieri un luogo dove crescere e trasformarsi in azione concreta e quotidiana.

Il 2 febbraio, Atlantis ha compiuto un anno di attività. Sei soddisfatto dei risultati ottenuti? Quali le principali difficoltà e gli obiettivi di cui sei più fiero?

Sicuramente in un anno Atlantis ha fatto grandi passi avanti, lavorando sodo ogni giorno con organizzazioni non profit piccole, medie e grandi.
Non so dove ci porterà questa scelta imprenditoriale e come si evolverà Atlantis nel tempo, ma di sicuro quello che continuerà a guidarci sarà sempre il nostro “perché”: dare energia alla solidarietà attraverso la nostra passione, le nostre competenze e il nostro desiderio di essere parte attiva nel processo di crescita del settore nonprofit e della corporate social responsibility.