E’ un periodo di grande fermento nelcrowdsourcing e nel ricorso al web 2.0 per la comunicazione dei grandi brand della moda e del retail italiano.
Infatti dopo i successi di Coine diUpim con le loro campagne su Zooppa è ora il turno di Benetton, che porta online il suo casting con l’iniziativa It’s My Time. L’unico requisito è avere più di 14 anni. Su altre caratteristiche, come sesso e colore dalla pelle, non ci sono limiti per partecipare al primo casting online su scala mondiale per trovare i 20 protagonisti della sua campagna pubblicitaria “United Colors” per l’autunno-inverno 2010-11.
L'home page di It's My Time
Ampio l’uso di social media a sostegno, a partire da Facebook, e non manca nemmeno il ricorso alla realtà aumentata.
Maggior dettagli li potete leggere qui, da parte mia voglio solo sottolineare come tre grandi brand italiani abbiano virato con forza sulla rete per trovare nuove idee di comunicazione.
Upim, dopo la recente acquisizione da parte di Gruppo Coin, riparte dal web 2.0 e affida agli internauti l’ideazione del suo nuovo logo attraverso un contest online su Zooppa aperto a tutti i creativi.
Sulla pagina dedicata di Zooppa potrete trovare tutti i dettagli del brief, personalmente mi piace citare questa news perché dimostra la crescente attenzione che le tradizionali insegne del retail stanno iniziando a dedicare alla rete, non è da tutti ripartire dal contributo degli utenti per costruire una nuova identità di marca. E non vi nascondo di essere molto soddisfatto di aver contribuito a questa operazione.
Voi che ne dite? Il web 2.0 può aiutare un marchio storico a riposizionarsi?
Stamattina nel corso di un viaggio di lavoro ho avuto l’opportunità di visitare la sede di Google Europe a Zurigo.
la reception
Devo dire che è proprio come tendenzialmente ci si può immaginare il quartier generale della dot company più importante del mondo: punti ristoro gratuiti a non più di 25 metri da tutti gli uffici, aree comuni ispirate a vari temi (la giungla, il paesaggio svizzero, l’oriente), una water lounge per il relax in penombra con una parete di acquari e poltrone massaggianti.
E tanti, tanti giovani (età media 27 anni) che possono portare al lavoro le famiglie o il cane e che hanno a disposizione un’area pranzo con un’ottima varietà di cibi di alta qualità.
l'area ristorante
I loro manager mi hanno confermato la loro politica dell’80%-20%: il 20% del tempo settimanale è dedicato a ciò che gli sviluppatori vogliono ideare, poi si vedrà in seguito se queste applicazioni sono monetizzabili o meno.
Loro stessi confermano che l’80% è un flop e che delle 100 applicazioni circa attualmente online solo 5 o 6 producono utili.
E’ di fatto il paradigma della free economy teorizzata da Chris Anderson nel suo libro “Free”: i costi di banda, storage e processori sono talmente bassi che ci si può permettere di sprecarli per tentare nuove vie.
Certo non è tutto bello e fantastico, probabilmente le persone grazie alla passione e all’ambiente confortevole finiscono per lavorare più di 12 ore al giorno, tuttavia l’atmosfera che si respira è quella di un posto dove si fa innovazione non solo a parole.
Con le dovute precauzioni credo dunque che un approccio attento alla ricerca della novità, anche al di fuori del profitto di breve termine, sia fondamentale per tutte le aziende che vogliono fare davvero un salto di qualità. E Google e altre dot com possono essere un benchmark più illuminante dei competitors tradizionali del settore.
Ho letto in questi giorni diversi post, molto interessanti, sulle previsioni per il 2010 come l’anno dell’azione, sia per il social media marketing (leggete questi articoli su Social Media Marketing e su Digitalmarketinglab) sia per il mobile web (ancora su Digitalmarketinglab).
Spero anche io che quest’anno si passi davvero da una generica consapevolezza del valore di questi strumenti (peraltro molto legati fra loro) alla reale attuazione di piani e strategie.
Quali sono i limiti e le opportunità della situazione ad oggi?
Partiamo dal mobile, dopo un paio di annate partite a metà la tecnologia è matura, la diffusione degli smartphone è alta e anche gli operatori stanno spingendo. Cosa manca? Sicuramente la conoscenza delle opportunità da parte degli utenti finali, traumatizzati anche dai salassi patiti causa alte tariffe. Auspicherei dunque delle campagne informative per il grande pubblico, oltre alla pubblicità commerciale.
Inoltre il futuro è fortemente legato alle applications, in questo senso fondamentale è stato l’avvento dell‘iPhone che ha cambiato l’approccio al mercato (una previsione azzeccata), non bisogna però dimenticare che in Italia questo device vale forse il 3% del mercato (700.000 pezzi) e che dunque mode a parte non bisogna trascurare tutti gli altri sistemi operativi a partire da Symbian e Windows Mobile. Le aziende sono consapevoli delle quote di mercato, oltre che dei costi di porting?
Veniamo poi ai social media: nei giorni scorsi si è sviluppata una bella discussione su Linkedin a proposito di come trasmettere la cultura dei social media marketing all’interno delle organizzazioni.
Credo che sia qui il problema centrale: la teoria in questo caso è difficile da applicare in mancanza di una conoscenza diretta degli strumenti e di un giusto approccio culturale. Come si diceva su Linkedin è importante coinvolgere chi in azienda ha già familierietà con questi strumenti per farne degli evangelisti. Tuttavia senza un forte committment dall’alto queste persone non avranno abbastanza credito, per cui uno sponsor forte è davvero necessario.
In libri come l’Onda Anomala molte storie iniziano con dei pionieri che ad un certo punto trovano un sostenitore forte in azienda, dando vita a storie di successo, nel 2010 ci sarà abbastanza coraggio per poter avere dei casi di studio italiani?
Su questo chiudo con un pensiero senza intenti polemici: in tutti gli incontri in cui mi sono trovato a parlare di social media negli ultimi mesi ho sempre avuto un pubblico di addetti ai lavori, dove mancavano quasi totalmente i manager di azienda. Non so se sia un problema di poca curiosità o di inviti gestiti male, certo è che ci siamo trovati ogni volta a dirci che “sono i soliti discorsi” mentre per altri interlocutori sarebbe stati preziosi.
Il futuro secondo me è sempre più ipertestuale nelle logiche di fruizione dei contenuti, siano essi di svago o professionali, grazie a apparecchi ibridi che fanno una funzione principale ma che poi si collegano in rete per diventare altro.
Siano essi tavolette touch screen, tv connesse alla rete o e-book tutti i loro contenuti possono improvvisamente ampliarsi grazie al web ed essere fruiti in una logica ipertestuale navigando di approfondimento in approfondimento. Anche se nasceranno per uno specifico scopo (programma televisivo, libro, rivista) tutti i media digitali del futuro saranno sempre più soggetti alle contaminazioni.
Questa ipertestualità e la crossmedialitàsuscitano molte speranze nei media più in affanno, come ad esempio i giornali, e sembrano destinate a cambiare per sempre la fruizione dei contenuti e il modo che le persone hanno di approfondire e documentarsi.
Le aziende, non solo quelle produttrici di contenuti, devono dunque iniziare a pensare a questi nuovi paradigmi e superare la tradizionale separazione fra media, dove già far dialogare l’adv tradizionale con il web a volte sembra utopia.
Mi piace sempre segnalare iniziative interessanti made in Italy che fanno uso dei nuovi media per dialogare e interagire con i clienti.
Per questo ho accolto con piacere la segnalazione di una nuova iniziativa di Mulino Bianco: il blog delle sorpresine, tenuto da Graziella Carbone, colei che ha ideato le famose “scatoline”.
Inoltre l’idea si concrettizza nella realizzazione di tante iniziative interessanti, come il catalogo completo delle sorpresine del Mulino Bianco, che chiama in causa gli utenti con un appello su vari social media, prima di tutto sulla pagina Fb delle Scatoline e sullo stesso Blog delle Sorpresine.
Mulino Bianco prevede di ricompensare i collezionisti che contribuiranno con:
– la menzione del nome del collezionista sul catalogo;
– un “cadeau” di prodotti Mulino Bianco per dimostrare la riconoscenza per la collaborazione
– l’organizzazione di una visita in uno degli stabilimenti più belli, quello di Castiglione delle Stiviere.
Eccoci qui, nel 2010, all’inizio di un anno che si prospetta stimolante sul web, anche in Italia.
Per fare davvero il salto però bisogna cambiare prima di tutto la mentalità (vedi ad es. questa presentazione) e raggiungere un primo grande traguardo: conoscere davvero la materia e così superare la paura del cosiddetto web 2.0.
Più che fare previsioni e prima di nuovi ragionamenti ho pensato dunque di raccogliere in un piccolo e-book alcuni dei post più significativi che ho scritto su questo blog.
Non ho particolari pretese, se non quella di dare degli spunti riassumendo in un unico documento una serie di stimoli che ho proposto nel tempo.
L’idea è tanto semplice quanto intelligente: usare 140 tweets di 140 caratteri (tanti sono quelli concessi da Twitter ai suoi utenti) per spiegare come funziona questo strumento e che usi ne può fare il marketing.
Di Twitter si parla molto ma nella realtà pochi in Italia lo usano e anche per le aziende, al di là della moda, è un oggetto misterioso di cui non si conoscono le regole, per quanto esso possa essere un valido modo di comunicare.
Per questo trovo il libro di Michele una risorsa molto utile per capire in modo semplice e veloce che cosa è Twitter, le sue convenzioni nate su impulso degli utenti, le sue peculiarietà.
Non mancano i consigli per le aziende, che ne possono fare prima di tutto uno strumento di ascolto e poi un valido mezzo di dialogo, a patto però di aver capito davvero come funziona e di scrivere tweets interessanti e frequenti.
Infine un grande pregio del libro, come scrive lo stesso Michele nel suo blog, è quello di dimostrare che la forma di scrittura concisa e sintetica di Twitter non è necessariamente un limite, anzi, a volte facilità la chiarezza e elimina quelle frasi lunghissime e teoriche che sono un po’ il vizio dei libri italiani.
In conclusione dunque vi consiglio il libro, soprattutto se non avete ancora dimestichezza con Twitter, perché vi permetterà con una veloce e agile lettura di iniziare il vostro percorso su di un canale di comunicazione che da noi è ancora agli inizi.
Gli ultimi due anni, e il 2009 soprattutto, sembrano darmi ragione: allo storico MilanIn si sono aggiunti diversiClubIn in giro per l’Italia, grandi associazioni come Ferpi sviluppano un network interno, la piattaforma Ning fornisce il supporto a tante iniziative più o meno grandi.
Il futuro del fenomeno merita qualche considerazione:
1) La vitalità è alta, nascono network ogni giorno, il pericolo però è la frammentazione. In Italia le associazioni si scindono continuamente e tutti vogliono essere presidenti, lo stesso sembra accadere per i business network (perfino i gruppi su Linkedin e Facebook sono ridondanti). Troppi piccoli network con pochi iscritti sugli stessi argomenti producono poco contenuto e non riescono a esprimere valore per gli iscritti.
3) La tendenza del 2010 sarà il rapporto con il territorio, nasceranno sempre più network regionali o ancora più localizzati, una situazione che va benissimo a patto che queste realtà collaborino all’interno di realtà più ampie.
In conclusione dunque sono fiducioso nello sviluppo di un sano e proficuo networking in Italia, grazie anche alla nostra predisposizione ai rapporti umani, l’unico limite alla crescita potrà essere l’eccessivo particolarismo, speriamo che tutti ne siano consapevoli.