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Il Blog di Gianluigi Zarantonello. Strategia, digital transformation, tecnologia e marketing nell'ecosistema digitale

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Google+ e la logica dell’ecosistema

Da qualche giorno sono entrato in Google+, la nuova creatura del colosso di Mountain View che ha il gravoso compito di riscattare i precedenti modesti risultati nel campo delle proposte social.

Premetto subito che non avuto tempo di spaziare molto in un ambiente che, per forza di cose, è ancora relativamente spopolato, se escludiamo gli addetti  ai lavori, tuttavia ho ritrovato al suo interno una serie di elementi interessanti.

Google+

Prima di tutto è notevole il respiro della manovra di Google: prima il pulsante +1, poi Me on the Web che ha favorito la compilazione dei profili personali, ancora la nuova grafica con la sandbox in alto e infine l’apertura (con qualche incertezza) del nuovo strumento.

Inoltre questa volta l’interfaccia sembra più semplice, almeno nella gestione delle cerchie di amici, cosa che non si poteva dire del defunto Google  Wave e in parte anche di Google Buzz.

Il punto chiave però resta un altro concetto che ha fatto la fortuna di strumenti come Twitter, ossia l’ecosistema, che nel caso di Google è totalmente proprietario ed è fatto da decine di servizi leader, dalla mail all’analytics passando per le mappe.

Lo stesso Facebook si è adoperato per costruire il suo mondo, con una serie di nuovi strumenti che però non possono essere paragonati a quelli di big G, prima fra tutti proprio la mail.
Google inoltre dalla sua ha la ricerca, una caratteristica che Facebook ha infatti cercato di fronteggiare in tempi non sospetti collaborando con Bing.

Ancora, nonostante il costo di questo progetto Google non ha l’urgenza di monetizzare visto che i suoi (pochi) prodotti profittevoli sono talmente redditizi da permettere il continuo rilascio di altri tool gratuiti che vengono di fatto testati dagli utenti.

Infine, facendo riferimento al famoso articolo sulla morte del web di Chris Anderson, quello di Google non è realmente un giardino circondato da mura (come Facebook), in quanto quasi tutto è accessibile anche senza una registrazione.

Le premesse dunque di un progetto di grande respiro ci sono tutte, la vera sfida di Google sarà però sul terreno dell’engagement sociale, che potrebbe non decollare. Tuttavia, in un web complesso e pieno di servizi e profili, siamo sicuri che l’obiettivo di Google sia davvero quello di scalzare Facebook? O piuttosto questo nuovo modello è in realtà finalizzato a riaffermare la leadership sul web e a portare ancora più traffico alle tradizionali fonti di reddito del gigante della ricerca?

Non dimenticherei infine che è al debutto anche Google Chrome OS che per funzionare chiede come chiave un account Google

Internet porta ricchezza anche offline!

E’ uscito in questi giorni un report di Boston Consulting Group e Google, dal titolo Fattore Internet, che si pone un obiettivo inedito: misurare l’impatto della rete sul PIL del nostro paese.

Il documento ragiona infatti su un importante parametro, il ROPO, che sta per Research Online Purchase Offline e che misura l’impatto fra online e fatturato offline (la multicanalità, che mi è cara).

Non scendo nei dettagli (potete scaricare il report qui), ma mi piace evidenziare che nel 2010 Internet ha contribuito al PIL italiano con 31,5 miliardi di euro, pari al 2%.

Come dichiara BCG sul sito “questo dato più che raddoppierà entro il 2015. In uno scenario conservativo l’Internet economy rappresenterà 59 miliardi di euro, pari al 4,4% del PIL italiano, con un tasso di crescita annuo del 18%“.

Non male per un Paese che stenta ad investire sulla banda larga e dove in queste settimane il dibattito sull’uso dei social media è quantomai polemico e vivace, che ne dite?

La mia visita da Google Europe a Zurigo.

Stamattina nel corso di un viaggio di lavoro ho avuto l’opportunità di visitare la sede di Google Europe a Zurigo.

la reception

Devo dire che è proprio come tendenzialmente ci si può immaginare il quartier generale della dot company più importante del mondo: punti ristoro gratuiti a non più di 25 metri da tutti gli uffici, aree comuni ispirate a vari temi (la giungla, il paesaggio svizzero, l’oriente), una water lounge per il relax in penombra con una parete di acquari e poltrone massaggianti.
E tanti, tanti giovani (età media 27 anni) che possono portare al lavoro le famiglie o il cane e che hanno a disposizione un’area pranzo con un’ottima varietà di cibi di alta qualità.

l'area ristorante
l'area ristorante

I loro manager mi hanno confermato la loro politica dell’80%-20%: il 20% del tempo settimanale è dedicato a ciò che gli sviluppatori vogliono ideare, poi si vedrà in seguito se queste applicazioni sono monetizzabili o meno.
Loro stessi confermano che l’80% è un flop e che delle 100 applicazioni circa attualmente online solo 5 o 6 producono utili.

E’ di fatto il paradigma della free economy teorizzata da Chris Anderson nel suo libro “Free”: i costi di banda, storage e processori sono talmente bassi che ci si può permettere di sprecarli per tentare nuove vie.

Certo non è tutto bello e fantastico, probabilmente le persone grazie alla passione e all’ambiente confortevole finiscono per lavorare più di 12 ore al giorno, tuttavia l’atmosfera che si respira è quella di un posto dove si fa innovazione non solo a parole.

Con le dovute precauzioni credo dunque che un approccio attento alla ricerca della novità, anche al di fuori del profitto di breve termine, sia fondamentale per tutte le aziende che vogliono fare davvero un salto di qualità. E Google e altre dot com possono essere un benchmark più illuminante dei competitors tradizionali del settore.

Voi che ne dite?

Google apre l’Android market ed inizia la sfida con Apple

A quanto pare ci siamo, la sfida fra iPhone e ‘Googlefonino’ entra nel vivo: oggi infatti apre Android Market, il negozio online della applicazioni per il nuovo sistema operativo mobile di Google.

Dunque gli sviluppatori potranno iniziare a mettere in vetrina i propri software, allo stesso modo di quanto già fanno sull’analogo spazio di Apple.

Al momento le prime applicazioni (secondo il Sole 24 Ore circa una cinquantina) saranno disponibili gratuitamente, mentre a seguire ci saranno quelle a pagamento.
Analogo il modello di revenue sharing per i programmatori, che prevede per loro il 70% dei ricavi delle vendite.

Non mancano le differenze: prima fra tutte è la modalità di caricamento delle applicazioni, che nel caso di Google non prevede alcuna approvazione previo pagamento di 25 dollari da parte del programmatore.

Inoltre il 30% residuo dei ricavi andrà all’operatore mobile che vende lo smarphone.

La sfida dunque è iniziata ed il business è ricco di interesse se anche Rim, che produce i BlackBerry, ha appena dichiarato che a marzo aprirà un suo store analogo, a questo punto restano solo da vedere le mosse dei due giganti Symbian e Windows Mobile.

Riusciranno tuttavia gli altri operatori a fronteggiare la quantità di sviluppi che Android sembra promettere, visto che è quasi completamente Open Source?

Staremo a vedere…

Gianluigi Zarantonello

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